2001. Bruno Abbate: una vita da primatist

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2001, n. 7, agosto, pag. 46/49

Benvenuti nella sezione speciale “BAM 35 Anni”. Vi stiamo presentando gli articoli “cult” tratti dall’archivio di Barche a Motore, a partire dal 1990. Un viaggio nel tempo tra storie introvabili oggi, anche nel grande mare di internet! Un tuffo nel mondo dei momenti epici della nautica a motore. Iniziamo da una delle storie che ci ha appassionato di più.


Una vita da primatist

Da Barche a Motore 2001, n.7, agosto, pag. 46-49.

Bruno Abbate, il più giovane dei figli del grande Guido, festeggia quest’anno i primi 50 anni di vita e di lavoro. Il suo esordio in cantiere avvenne infatti a 2 ore dalla nascita.

Bruno Abbate appartiene a una di quelle famiglie che hanno nel Dna forti componenti di genialità, ma anche di sregolatezza. Persone prorompenti di vitalità, sia fisica che psichica, ricche di ingegno e di cuore. A volte imprevedibili, mai banali. E per questo affascinanti. Il patriarca, il fondatore di questa dinastia di costruttori nautici lariani è stato papà Guido. Uomo che dal niente si è fatto rapidamente un nome nel sofisticato mondo delle corse motonautiche, grazie ad alcune intuizioni che per quanto non si voglia indulgere nella retorica, bisogna definire con l’aggettivo che meritano: semplicemente geniali. Basta farne accenno che Bruno si accalora: “Mio padre fu un precursore, uno dei grandi pionieri della nautica moderna. Fu il primo a costruire in Europa un racer ‘tre punti’ e fu il primo a montare le eliche di superficie. Mi fanno ridere gli storici quando attribuiscono a Sonny Levi la loro invenzione. Nel nostro museo abbiamo una barca costruita da mio padre nel 1947 con le eliche di superficie. A quell’epoca Sonny Levi non si occupava ancora di barche”. Bruno ha un vero culto per papà Guido. Oltre all’ammirazione, traspare il grande affetto di un figlio cresciuto al fianco del padre nella vita e nel lavoro. Ce ne parla volentieri nell’ufficio di rappresentanza del suo cantiere di Grandola e Uniti, sempre cordiale, sempre disponibile. Prima di tuffarci nella piacevole chiacchierata non possiamo non notare la sorprendente posizione del cantiere, tra alte rupi e vegetazione alpina, lungo la strada montana che porta da Menaggio a Porlezza e a Lugano. Secondo contrasto, l’ufficio arredato con mobili importanti come il grande tavolo da riunione quadrato di cristallo e le poltrone di pelle e altri oggetti molto più personali come coppe, trofei, poster e foto di famiglia e persino un grande squalo martello imbalsamato. Ma niente è più informale di Bruno e ti fa sentire a tuo agio.

Barche a Motore: Quando hai iniziato a occuparti di barche?
Bruno Abbate: Sono nato alle 7 di sera e alle 9, cioè due ore dopo, siccome in cantiere c’era Mario Verga che stava per partire per una gara, sono stato appoggiato come portafortuna sul suo racer, il Laura I. Questo per dire che la mia prima culla è stata una barca e che da quel momento le barche sono diventate la mia vita (ndr: Mario Verga era il campione di motonautica per il quale Abbate costruì il primo “tre punti).

Hai sempre lavorato con tuo padre?
«Sia io che i miei fratelli più grandi abbiamo iniziato a lavorare con papà. Quando nel 1964 iniziò a imporsi la vetroresina, Tullio, il più grande, che aveva creduto subito nelle potenzialità del nuovo materiale, dopo qualche discussione con papà che rimaneva legato al legno, se ne andò e aprì un cantiere tutto suo. Io, naturalmente, data l’età. avevo 13 anni, rimasi con mio padre e con Chicco (il fratello Carlo)».

Lavoravi già a quell’età?
«Fin dai tempi della suola tutti e tre noi fratelli abbiamo dedicato ogni ora libera al cantiere. Mi ricordo che si usciva da scuola alle 4 del pomeriggio e appena fuori andavamo a piedi al cantiere. Aiutavamo gli operai in qualche lavoretto, facevamo le pulizie, qualsiasi cosa, tipo girare le assi di mogano che stavano sul terrazzo della mamma a essiccare, operazione che andava fatta ogni giorno. Il lavoro ci piaceva, era la nostra passione, il nostro sangue. Abbiamo sempre lavorato a fianco di mio padre, fino a che, nel 1976. si ritirò e lasciò l’azienda a me e a mio fratello Carlo».

Avevi solo 25 anni, non eri un po’ troppo giovane per mandare avanti un cantiere nautico?
«Nel senso comune della parola sì, ero giovane, ma ero già maturo di esperienze. E l’esperienza mi servì, perché io e Chicco dovemmo ripartire da zero. Fu necessario riprogrammare tutta la produzione, ristrutturare il cantiere di Porlezza, dove, del resto, non c’era più niente, nemmeno uno stampo».

Come mai? Cos’era successo?
«E’una storia che pochi conoscono. Negli anni ‘70 il diporto era entrato in crisi. Scarseggiava la benzina, c’erano le domeniche alternate senza auto e c’era una pesante contestazione sociale che certo non favoriva il commercio di beni di consumo ritenuti di lusso come le barche da diporto. Un periodo molto difficile per tutti noi. Mio padre trovò qualche buon cliente al Sud, principalmente in Puglia e in Campania, gente esperta di mare, che amava barche veloci, ma che aveva anche molte esigenze. Al giorno d’oggi li definirei tranquillamente dei rompiballe e li manderei al diavolo. Ma a quell’epoca non si poteva fare tanto i difficili. O si accettava il lavoro che c’era o si chiudeva e si mettevano sul lastrico diverse famiglie. Per accontentare ogni loro capriccio trasferimmo addirittura il cantiere. Però ora, a mente fredda, ti posso dire che è stata una scuola fantastica per lo sviluppo delle carene. E non solo delle carene. Per le trasmissioni, per le eliche di superficie, per il problema dell’affidabilità delle barche e dei motori. Andare per mare è una cosa molto diversa che stare su un lago. Ci sono problemi di navigazione e di sicurezza molto più complessi, com’è ovvio. Aver imparato a risolverli dal vivo ci ha permesso di farci quel bagaglio di esperienze che abbiamo in seguito sfruttato e che ci ha reso da subito vincenti».

Quando hai iniziato a raccogliere le prime soddisfazioni?
«Praticamente da subito, dalla prima barca che mettemmo in produzione, il Primatist 23’, che è stata una barca eccezionale, tanto che ne vendemmo 700 esemplari! Poi facemmo il 34’ e nel 1980, con i guadagni costruimmo i primi mille metri di capannone qui a Grandola».

Non è facile avere di punto in bianco un simile successo…
«Bisogna dire che non eravamo proprio degli sconosciuti. La fama di mio padre come costruttore era ancora viva».

Il successo dei Primatist ha ricevuto però un grande impulso dopo le tue vittorie in offshore. Giusto?
«In effetti, la pubblicità derivata dalla conquista del titolo europeo della classe 1, ha giovato molto al nostro cantiere. Dopo il 1987 c’è stato un autentico boom di vendite».

Sei stato favorito da uno sponsor importante come Gancia?
«Vittorio Vallarino Gancia è stato per me molto di più di un importante sponsor. È stato soprattutto un amico. Tra noi nacque un’immediata simpatia. Lui aveva visto sul Corriere della Sera una foto del mio Primatist 30’, che tra l’altro si chiamava Carola, come la moglie di suo figlio. Gli era piaciuto e mi telefonò per ordinarne uno. In seguito gli feci un 34′ e poi un giorno, era il 1985, venne al Salone di Genova e mi disse che aveva intenzione di sponsorizzare uno scafo di classe 1 per gli Europei offshore – l’offshore vero, quello con i monocarena – e che voleva una mia barca e me come pilota. Andammo a mangiare insieme con il suo fiduciario Filippo Crosa e non parlammo più dell’argomento. Dopo un mese, non avendo più notizie telefonai a Crosa e gli chiesi se quella di Vittorio Gancia sul campionato offshore era stata una battuta. Crosa se ne stupì: “Come! Non è ancora pronta la barca? Guarda che quando Vittorio Gancia dice di volere qualcosa, puoi considerare l’affare fatto. Non c’è bisogno di un contratto”. Sono così venuti quattro anni esaltanti per i successi sportivi e, soprattutto, per il nome del cantiere, che ha avuto la sua definitiva consacrazione. Poi, con l’avvento dei catamarani quest’epoca d’oro è finita. Io, a dir la verità, stavo pensando di costruirne uno per continuare a correre, ma Vittorio Gancia mi ha convinto a ritirarmi. Era un altro mondo. “Piuttosto – mi disse – pensiamo a qualcosa per fare divertire i nostri amici”. E cosi è nato il Primatist Trophy, una grande kermesse motonautica motoristica, ma anche una festa tra amici. Ogni anno ci inventiamo qualcosa di diverso per farli divertire e se pensi che sono passati 11 anni dalla prima edizione del 1991, vuol dire che ci riusciamo. Le componenti del successo sono semplici e funzionano sempre. Mio padre me lo diceva sempre: “Donne, orologi e motori!”. Ci pensa un po’ su e poi continua: «Cosa c’entrino gli orologi non l’ho mai capito. Mi ero ripromesso di chiederglielo, finché un giorno se ne è andato senza spiegarmelo».

Che progetti hai fatto per sfruttare questo momento d’oro del mercato nautico italiano?
«La prima cosa che dovremmo fare è trovare nuove struttura per costruire barche di grosse dimensioni, di cui, tra l’altro, abbiamo una forte richiesta. È un grosso problema, anche per motivi sentimentali che per me hanno un valore. Noi siamo attaccati alla nostra terra e siamo affezionati ai nostri collaboratori. Qui non ci si può ingrandire, manca lo spazio. Dovremmo trasferirci. Decisione difficile. Per il resto, ci basterà completare la gamma produttiva; abbiamo per esempio in costruzione un 40′ che colma una lacuna tra il 36’ e il 43’. Sarà pronto il prossimo anno».

Secondo te, quali sono i segreti del vostro successo?
«Il segreto è solo uno. Che io, progettista e costruttore, sono uno che va moltissimo per mare e non faccio altro che cercare di costruire barche secondo il mio modo di andare in mare, cioè con un occhio sempre attento alla massima sicurezza possibile, senza per questo dimenticare le prestazioni. Oggi le nostre barche fanno da 36 a 45 nodi, a seconda del tipo di motorizzazione, e non dico con qualsiasi tipo di mare, perché il mare mi ha insegnato che quando è arrabbiato è meglio rimanere in porto. Però, possiamo affrontare mari davvero sostenuti in perfetta tranquillità. Quindi, comfort, prestazioni e tecnologia. Credo di fare un buonissimo prodotto, come qualità e come prezzo. Certo è un prodotto di élite, molto ricercato».

E’ proprio quello che tira di più in questo momento.
«È anche una scelta obbligata la nostra. Con la dimensione d’azienda che abbiamo non potevamo certo cercare la quantità, ma solo la qualità. Siamo riusciti a ottenerla e a offrirla. Per questo ci cercano e ci apprezzano. Barche come le nostre hanno pochi rivali, sia come linea, che come caratteristiche».

Il Primatist 46′, che nel 1987 ha vinto campionato europeo e italiano di classe 1.

Le corse, una passione di famiglia

Tra le caratteristiche comuni degli Abbate c’è anche la passione per le gare motonautiche, trasmessa per via diretta da Guido ai figli. Guido è stato prima di tutto un grande costruttore di barche da corsa. Tra il 1949 e il 1953 i suoi racer hanno vinto tutto quello che c’era da vincere. Tutti i più forti piloti dell’epoca facevano la fila a Porlezza per farsi fare una barca. Tre nomi su tutti: Mario Verga, Ezio Selva e Achille Castoldi. Lo stesso Guido ha partecipato e vinto molte gare. Nel suo palmarès c’è una lunga serie di vittorie nella Cento Miglia del Lario, la classica delle gare di durata. Il testimone di campione dalle mani del padre lo ha raccolto Tullio, il primogenito. “lo non ho avuto molto tempo da dedicare alle corse – dice con un certo rammarico Bruno – Ho sempre rivolto tutto il mio impegno alla produzione”. Questa dura necessità non gli ha comunque impedito di vincere un titolo europeo della classe S5 (5000 cc sport) inshore, praticamente all’esordio delle corse e poi di conquistare il titolo assai più prestigioso della Classe 1 offshore nel 1987, titolo accompagnato nello stesso anno dalla vittoria nel campionato italiano e nel Trofeo del Mediterraneo. Un trionfo sia come pilota che come costruttore, visto che la barca vittoriosa era un Primatist 46’ sport. Poi ha iniziato a correre Guidino, il primogenito di Bruno, che aveva già messo in mostra il suo talento naturale vincendo il campionato offshore di classe 3 a soli 19 anni. Purtroppo un incidente automobilistico l’ha strappato l’anno dopo alla vita che gli sorrideva, ai tanti progetti che il padre riponeva in lui. Gli attuali interessi sportivi di Bruno sono legati alla DAC la scuderia corsa di F1 che negli ultimi 8 anni ha vinto 5 titoli iridati con Guido Cappellini. II rapporto con il campione del mondo è nato per la passione di Guidino che aveva conosciuto Cappellini (un altro Guido, il nome del destino) diventandone un grande tifoso. Ne è sorta una forma di collaborazione che ha visto prima la DAC fornire la tecnologia per il debutto alle corse offshore del giovane Abbate e poi la Primatist assumersi la responsabilità dell’aspetto organizzativo e manageriale della produzione dei bolidi da corsa della DAC, dopo una prima felice esperienza collaborativa nel 1996 che ha portato al record mondiale di velocità entrobordo. Un rapporto simile a quello che esiste tra FIAT (Primatist/Abbate) e Ferrari (DAC/Cappellini). L’avanzata tecnologia e le ricerche per lo sviluppo delle DAC sono sfruttate dalla Primatist sul piano pratico come applicazione di soluzioni innovative.

di Riccardo Magrini

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