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Benvenuti nella sezione speciale “BAM 35 Anni”. Vi stiamo presentando gli articoli “cult” tratti dall’archivio di Barche a Motore, a partire dal 1990. Un viaggio nel tempo tra storie introvabili oggi, anche nel grande mare di internet! Un tuffo nel mondo dei momenti epici della nautica a motore. Iniziamo da una delle storie che ci ha appassionato di più.
Una prima elettrizzante
Da Barche a Motore 2022, n.26, luglio-agosto, pag. 95-105.
Cosa si prova stando ai comandi di RaceBird? Lo abbiamo chiesto al pilota che per primo ha fatto volare un sogno diventato realtà.
Romagnolo Doc, Luca Ferrari è nipote di Alessandro e Norberto Ferretti. Proprio con quest’ultimo ha vinto nel 1994 il mondiale offshore nella Classe 1 a bordo di Giesse- Phylosphy, un catamarano in carbonio costruito all’epoca da Tencara. Proprio la sua lunga esperienza nelle competizioni motonautiche si è rivelata utilissima per mettere a punto il RaceBird.
Quando, nel 1979, uscì “Stella di Mare” dall’ottavo album di Lucio Dalla, aveva una frase che suona oggi quanto mai attuale: “La nostra barca non naviga, vola, vola, vola!”. Sicuramente Dalla non immaginava le E1 Series, ma è una suggestione che si adatta molto bene a descrivere il nuovo RaceBird, la barca elettrica “volante” che sarà protagonista in questo avveniristico campionato. Siamo di fronte all’avvento di un circuito internazionale che vuole far nascere una nuova competizione nautica. I protagonisti sono veri e propri vulcani di idee e portano i nomi di Alejandro Agag, Presidente e Co-fondatore di E1, Rodi Basso, Ceo e co-fondatore; la designer Sophi Horne, senza dimenticare il team di sviluppo di Victory Marine, guidato da Brunello Acampora e ai molti altri dietro le quinte. Oggi, però, il protagonista è un altro. Si, perché l’idea funziona solo se c’è una barca su cui correre. Progettarla e costruirla è solo il primo passo. Poi bisogna metterla a punto, ottimizzarla e farla rendere al massimo. Questo è esattamente ciò che sta facendo Luca Ferrari, oggi tester ufficiale per l’E1. Un passato e soprattutto una bacheca piena di trofei vinti nelle principali competizioni motonautiche, a Ferrari (un nome, una garanzia) spetta l’onere e l’onore di aver fatto volare per la prima volta il RaceBird. Com’è andata? Ce lo ha raccontato lui stesso in questa intervista esclusiva.
Lei ha le corse e l’innovazione nel sangue. Come sta vivendo questo nuovo progetto?
Quando correvo in Class 1 (di cui è stato campione mondiale nel 1997 N.d.r.) sono stato il primo ad avere una barca mono-timone, a sperimentare un alettone nel tunnel, solo per citare alcuni esempi, ma potrei andare avanti a lungo. Non lo dico per vanto, ma solo perché sono abituato a proiettarmi nel futuro. È molto eccitante, onestamente. E poi sento l’onore di portare per la prima volta questa barca in acqua con piena fiducia da parte di Brunello (Acampora N.d.r.) e di Rodi (Basso N.d.r.).
Brunello Acampora di Victory Design (a sinistra) e Luca Ferrari (a destra).
Non è la prima volta che si cimenta con progetti di barche elettriche veloci…
No, avevo già avuto esperienza con Anvera E-Lab, tra le elettriche più potenti al mondo. Portare in acqua una barca elettrica con i foil è una bella sfida, questi due elementi insieme sono essenziali. Brunello e Rodi, però, ora vogliono evolvere al massimo il mezzo.
A tal proposito è stato il primo a “volarci” sopra. Com’è andata?
Siamo all’inizio, i primi voli in assoluto, ma nelle tre prove che abbiamo fatto siamo andati bene anche se, come ci aspettavamo, sono emerse le prime problematiche. A partire dalle mie indicazioni arriveremo già alle prossime prove con dei foil nuovi. Di fatto non stiamo ancora sfruttando tutta la potenza che su questa barca serve soprattutto per partire. La sensazione è di essere su un aereo. Nella prima prova assoluta a 16 nodi era già un traguardo. Da 16 nodi in poi, per come eravamo settati, eravamo esagerati e la barca saliva troppo sui foil, rischiando di uscire dall’acqua. Bisognava quindi abbassarla, ma per farlo non si può usare la forza, al contrario si deve lavorare di intelligenza.
Luca Ferrari sfreccia a bordo di RaceBird nelle acque della laguna veneziana.
In che senso?
L’obiettivo è farla rimanere in volo, ma il più possibile bassa sull’acqua, quasi a filo. Anche perché appena impatti con la superficie hai un freno notevole. Prima di tutto è un lavoro di testa e logica per trovare l’assetto migliore, poi entra in gioco la sensibilità del pilota.
Cosa cambia rispetto alla sua esperienza in offshore?
Noi piloti di offshore abbiamo la sensazione di essere sull’acqua e di esserne spinti. C’è un contatto diretto, quasi fisico, che parte dal sedile. Bisogna “sentire” la barca. C’è chi riesce a stabilire questo legame in modo istintivo. A tal propositi mi ricordo ancora quando portai Ayrton (Senna N.d.r.) in barca con me. Lui sentiva la barca come se fosse su una monoposto, era strepitoso. Qui, pero, è tutto diverso. Nel momento in cui si alza sui foil, c’è il silenzio totale e il silenzio è un problema perché perdi la sensibilità, fai fatica a trovare punti di riferimento sull’acqua. È come trovarsi ai comandi di un aereo. Ecco perché la mia prima richiesta è stata quella di aggiungere, nella strumentazione, un orizzonte artificiale. Hai davanti un orizzonte, ma fatichi a sapere quanto sei alto. Nel mio caso avevo un contatto radio che mi diceva “Sei alto venti, trenta (cm sull’acqua, N.d.r.) puoi andare, ecc.”. Tu, però, non te ne accorgi. La mia esperienza, per rispondere alla domanda, è tornata utile per il fatto che in passato ho sempre fatto volare le barche piatte. Magari alla velocità massima risultavo più lento, ma ho sempre cercato di avere il miglior bilanciamento, scelta che si è sempre rivelata vincente. Questo background oggi mi è tornato molto utile per la messa a punto di RaceBird.
RaceBird in bella mostra a Venezia. Alle sue spalle, il ponte di Rialto.
È difficile governare un RaceBird?
Fisicamente l’ala ti riporta sempre su. Tu devi avere dei momenti in cui sali e in cui scendi col lift. Insomma, cerchi l’acqua per compensare se sali troppo, altrimenti l’ala esce dall’acqua. L’assetto è fondamentale, proprio come in Coppa America, dove il trimmer deve sempre lavorare sui foil per tenerli in acqua, altrimenti è un attimo che perdi il controllo della barca. In virata si dovrà stare più piatti possibile, perché se si inclina lo scafo e viene fuori un’ala si perde portanza. La soluzione migliore sarà virare alla massima velocità, ma piatti per avere lo stesso appoggio sui due foil davanti.
Quanta automazione c’è a bordo?
Tutto questo che ho descritto è manuale. Hai il volante in mano e col volante la mandi in virata con una sensazione tipo auto, un po’ sovrasterzante. Quando sovrasterzi lei si butta sull’esterno e sei tu, pilota, che intervieni per virare il più piatto possibile. E poi sempre tu a regolare l’altezza sull’acqua.
Virare sarà quindi difficile?
Chiaramente in rettilineo la barca deve essere a posto, ci saranno dei parametri per trim e lift. Poi, mano a mano che si andrà più veloci, bisognerà capire quale sarà il raggio della virata ottimale. L’obiettivo sarà virare piatti, veloci, più larghi forse di quello che dice la testa, ma sempre veloci. Vedremo. Siamo ancora agli inizi. Rodi Basso comunque ha creato un’Academy per questo tipo di barca, per piloti di ogni tipo. L’evoluzione di questo mezzo vuole coinvolgere persone, donne e uomini, anche fuori dalla nautica.
A sinistra, Alejandro Agag, presidente e co-founder di E1 insieme a Francesco Pannoli, direttore di squadra di Venice Raging Team, primo equipaggio a iscriversi al mondiale che si correrà il prossimo anno.
di Matteo Zaccagnino e Gregorio Ferrari. Fotografie: Lloyd Images.
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