3 Superstizioni di chi va in barca, ecco la loro storia
Il mondo di chi va per mare è fatto di moltissimi aspetti ma, quasi imprescindibile, tra questi non può mancarne uno fondamentale: la superstizione. A bordo che ci si creda o meno, ci sono varie cose che sono “accusate” di portare sfortuna.
E non sono poche le credenze al riguardo. Alcune hanno un fondamento di “verità” o quanto meno un’origine storica. Altre sono semplici miti da sfatare. Ecco 3 dei casi più conosciuti, le “pratiche” per allontanare il malaugurato risvolto, o i miti da sfatare.
Barche verdi, una paranoia tutta italiana
Basta vedere una barca di colore verde e i marinai cominceranno a tastare legno, ferro e quant’altro ritengano sia necessario ad allontanar la iettatura. Eppure riguarda solo gli italiani. Già, perché questa è una credenza tutta nostra, solo da noi una barca di colore verde porta “male”. Nel resto del mondo il panorama è invece ricco di scafi verdi, barche anche bellissime e che mai hanno dato dimostrazione a questa credenza italica.
Nella vela oceanica, ad esempio, non pochi scafi sono verdi. Da noi è un colore che la maggior parte delle persone eviterebbe prima di lanciarsi in traversate simili, eppure niente. Lo stesso vale per diverse compagnie commerciali ed i loro colossi galleggianti in verde. Regna qui su tutte la Evergreen, fondamentalmente, il verde fatto a flotta. Eppure, niente, nessuna sventura, nessuno ci crede (tralasciando il piccolo intoppo capitato alla Ever Given a Suez…).
Perché, quindi, in Italia, una barca verde ha questa nomea?
La credenza trova le sue radici in un passato remoto, ma neanche troppo. Basta tornare all’epoca dei grandi bastimenti o, comunque, della cantieristica del legno e del ferro. Qui, il verde, era in generale un colore poco desiderato a bordo, non tanto per la sfortuna, ma perché rischiava di distogliere l’attenzione da un elemento non indifferente: il verde rame, appunto tendente al verde.
Cosa si intende? Facile: su scafi realizzati e giuntati alla “vecchia maniera”, vedere il verde rame significava identificare sintomi di ossidazione a bordo ed il conseguente e potenziale indebolirsi delle strutture costituenti lo scafo. Un segnale non da poco. Verniciare in verde, semplicemente, rischiava di nascondere alla vista sintomi che avrebbero potuto portare a esiti ben poco piacevoli.
Cambiare il nome alla barca: se necessario, ecco come non rischiare
Se il verde appare come una fobia della nautica del Belpaese, ci si trova, invece, d’accordo con vasta parte del mondo marinaio nel ritenere un bel rischio il cambiare nome alla barca. C’è poco da fare, cambiar nome ad una barca non si dovrebbe fare, quasi fosse un’offesa diretta alle divinità del mare. Si tratta, come evidente, di una credenza antica, che vede la barca come una creatura viva, con una sua anima con nome registrato presso gli Dei del mare.
Cambiare il nome senza comunicarlo debitamente non è, quindi, cosa suggeribile. Esistono, però, soluzioni che si prestano all’evenienza, cancellando il nome dai registri e garantendo la “salvezza” dell’imbarcazione.
Il trucco è semplice: occorre avere una barca amica e far sì che questa tagli almeno 3 volte (tre) la scia della barca che sta cambiando nome. Una credenza, dunque, ma tentar non nuoce. Ovviamente rispettando distanze di sicurezza e tutto quanto prescrive il buon senso (e le NIPAM!)
Altre teorie vedono soluzioni diverse, ma il clou è sempre quello: cambiare il nome senza preoccuparsene non è cosa buona, il mare potrebbe non apprezzare.
Se la bottiglia non si rompe al varo: giocare d’anticipo
Qui si entra in territori difficili, perché quando il danno è fatto, è fatto. Ogni varo che si rispetti, infatti, prevede il lancio della bottiglia ad opera della madrina della barca (o del padrino, ma la tradizione predilige la prima opzione). Champagne o spumante che sia (niente prosecco, non vale), l’importante è che la bottiglia si rompa nel colpire il dritto di prua (o sulla chiglia). Al primo tentativo.
Se al varo la bottiglia non esplode, inondando la barca sono guai. Sia per lo scafo che per i suoi occupanti, per proprietà transitiva. Come fare? Il trucco sta nel giocare d’anticipo, prevenendo ogni rischio. Perché, per quanto possa essere superstizione, le coincidenze non sono poche, anzi.
Nel dubbio, oltre ad adeguare la forza e a calcolare come la bottiglia impatterà la barca, può essere saggio procurarsi una bottiglia sottile. E, se proprio si vuol star tranquilli, visto lo spessore delle bottiglie di champagne, può aver senso cercarne una specifica e, mal che vada, travasarci dentro il liquido, sigillando poi con un tappo. Un trucchetto semplice, ma efficace.
Se la bottiglia non si rompe al varo: la storia
Perché, allora, dire che si entra in terreni difficili, se la soluzione è così banale? Facile, la storia qui porta a far pensar male. Ne è plateale dimostrazione, tra le tante, il varo dell’Italia, scafo progettato e varato per competere nella Coppa America del 1986. Al momento previsto, la madrina lanciò la bottiglia sul dritto di prua per assistere, nel mormorio generale, al rimbalzo di questa. Rimbalzo che si ripete al secondo tentativo, prima di infrangersi, finalmente, al terzo. Ma è il primo quel che conta.
Senza dimenticare che, nel rompersi al terzo tiro, i frammenti di vetro ferirono la madrina stessa. La mattina dopo il varo la barca è poi trovata mezza affondata. Chi ben comincia… insomma, una carriera avversa fin dall’inizio, con una costellazione di intoppi per tutta la sua esistenza, con una Coppa America disastrosa e più di mezzo equipaggio che nel mentre si sbarca. Anche il main sponsor, Maurizio Gucci, non ne passerà di piacevoli in quel breve periodo di Coppa.
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