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Avete presente quelle che sembrano le cicatrici lasciate dalla zampata di un gatto su una carena? Ecco, quelli sono i pattini o – in inglese, e altrettanto utilizzato – i rails. Ma a cosa servono? Come avrete capito da un incipit ben poco ingegneristico, sarà una spiegazione molto pratica e poco tecnica. Ci perdoneranno gli ingegneri.
I pattini
I pattini sono quei profili, in genere di sezione triangolare, che corrono da prua a poppa sulle carene plananti a V profonda. Come suggerisce la forma stessa della lettera, una V prevede che le due superfici del fondo siano inclinate rispetto al galleggiamento di un angolo, chiamato diedro o deadrise, altro termine inglese e forse ancor più usato. Più questo angolo è grande, più le superfici sono reciprocamente inclinate, più la V è profonda. E più la V è profonda, più tende a entrare nell’acqua come un coltello. Questo, in alcune circostanze, può essere buono, ma non è altrettanto vantaggioso per portare la carena in planata, ossia quell’assetto che la porta ad uscire dall’acqua e ad essere sostenuta non più dalla sola spinta di Archimede, ma – soprattutto – dalla portanza. Una spinta, appunto, che si genera quando, alla giusta velocità, il flusso d’acqua si incanala sotto si essa e la “spinge su”. Un’affermazione che ha poco di fluidodinamica, ma si spera di aver reso il concetto.
Quindi, un fondo completamente piatto, che incanali sotto di sé quanto più flusso possibile per scorrerci sopra, invece di “entrarci” dentro e deviarlo lateralmente, sarebbe una carena planante perfetta. È proprio come quando cerchiamo il sasso più liscio per farlo rimbalzare sull’acqua. A parte alcune piccole applicazioni fluviali, non è possibile fare barche piatte, per una serie di ragioni strutturali, di stabilità e manovrabilità. Ecco una delle ragioni per cui si usano i pattini: creano delle “strisce” in cui l’angolo di incidenza col flusso d’acqua è zero, e quindi la portanza è massima. È come se in quel punto avessimo uno spicchio di fondo piatto e perfettamente planante. In questo caso si parla di lift rails, ossia, più o meno letteralmente, pattini di spinta.
Meno superficie bagnata
Ma la portanza non è l’unica ragione, anzi! Forse più importante, se non addirittura ragione principale dell’utilizzo dei rails, è la riduzione della superficie bagnata. Il flusso d’acqua che viene “intrappolato” sotto i rails, e comunque in parte deviato all’esterno, va a richiudersi leggermente a poppa, rispetto al percorso che avrebbe fatto naturalmente senza incontrare i pattini. Questo risulta in una riduzione della superficie bagnata totale, che è quella che produce la resistenza d’attrito, che a sua volta è la componente principale della resistenza incontrata da una carena planante. Ne abbiamo parlato in un video dedicato. In ogni caso, è più facile a vedersi che a dirsi, pertanto ecco un’immagine che vale più di mille parole.
La direzionalità
Ma i vantaggi non finiscono qui. Il termine inglese è particolarmente significativo perché potrebbe essere tradotto anche con “rotaie”. Evoca un concetto che spiega bene il contributo che danno alla direzionalità, specialmente sulle carene con un angolo di V più piatta. Ecco perché vediamo i rails sia su carene con V molto pronunciata sia su quelle più piatte. A seconda di come vengono progettati e dimensionati – compito tutt’altro che banale, ma nel quale non ci addentreremo nel dare ragguagli – una funzione diventa più utile rispetto ad un’altra, ma comunque portano benefici più o meno a qualsiasi tipo di carena planante. Un esempio di questo effetto “direzionante” lo abbiamo visto a Düsseldorf sullo Sterk 31, che estremizza questo concetto inserendo nella parte terminale del rail un vero e proprio profilo che incide l’acqua, migliorando la tenuta della rotta, specialmente in virata, ed evitando quel fastidioso “effetto derapata”.
Infine, quando i pattini escono oltre il galleggiamento, aiutano anche a deflettere gli spruzzi rendendo più asciutta la barca. In contrapposizione con i lift rails, questi si definiscono spray rails, altro termine molto diffuso.
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