E se con una buona carena, alla tua barca servisse il 30-50% di energia in meno? Dal gruppo scandinavo, Nimbus AB, ecco uno studio interessante: AirHull. I protagonisti coinvolti sono tre: Alukin, proprietà di Nimbus, e le due aziende norvegesi Pascal Technologies (per la tecnologia dello scafo) AS ed Evoy AS (produttore di propulsori elettrici).
L’obiettivo? Realizzare una carena che arrivi a ridurre il consumo energetico tra il 30 e il 50% e, in questo modo, aumentare l’autonomia dell’imbarcazione del 50-100% rispetto all’utilizzo di uno scafo tradizionale.
Meno energia per muovere la barca
La sostenibilità in barca. Spesso ne sentiamo parlare in termini di propulsione, elettrica e non, ma tutto questo è strettamente legato alle carene. Buona parte della sfida si gioca lì perché è l’opera viva efficiente che fa la differenza tra consumare di più o di meno. Una obiettivo che fa gola non solo ai produttori di motori elettrici, che nell’autonomia hanno uno dei principali limiti, ma anche alle case degli endotermici.
Anche gli armatori oggi stanno sempre più attenti ai consumi. Nimbus Groups AB ha iniziato dei test su un design dello scafo (quello dell’Alukin OceanAir 8) per ridurre del 50% l’energia necessaria per la propulsione.
Come? Con la tecnologia AirHull, pensata per ridurre il fabbisogno energetico delle imbarcazioni plananti. Vista anche la presenza di Evoy, questa soluzione è ottimizzata per la nautica elettrica.
Nel suo complesso AirHull è composto dal cuscino, dalla trasmissione e dalle batterie. Tutti i componenti sono integrati e regolati dal sistema di controllo di marcia. L’architettura della piattaforma è robusta e scalabile per imbarcazioni da 6 metri a 30 metri.
Il principio dietro AirHull non è nuovo. Creare un cuscino d’aria sull’opera viva una volta che la barca è in planata permette di ridurre l’attrito considerevolmente. Un discorso simile a quello degli step in carena. Cos’ha di diverso l’AirHull Pascal, allora?
AirHull: la carena “rivoluzionaria”
Lo scafo in questione è in fase di sviluppo a bordo dell’Alukin OceanAir 8 con propulsore Evoy. Il sistema utilizza una ventola che veicola l’aria tra l’opera viva e l’acqua. Qui si crea un cuscino che solleva parzialmente l’imbarcazione e riduce l’attrito sensibilmente. L’idea è coniata dalle ben note Surface Effect Ships (SES), a metà tra l’hovercraft e il catamarano. Cos’ha di diverso l’AirHull Pascal? Uno speciale design dello scafo e un sistema di flap flessibili per mantenere l’aria all’interno della cavità. Il sistema è controllato da un comando di marcia che promette un movimento fluido ed efficiente dell’imbarcazione.
I test condotti su questo tipo di scafo hanno dimostrato che la tecnologia può ridurre il consumo energetico tra il 30 e il 50%, aumentando l’autonomia dell’imbarcazione del 50-100% rispetto all’utilizzo di uno scafo tradizionale.
Alukin OceanAir 8
L’attenzione al tema della sostenibilità, oltre all’efficienza della carena, passa anche dai materiali. In questo caso la scelta è stata di fare uno scafo e sovrastruttura tutto in alluminio, quindi riciclabile al 100%. L’obiettivo dichiarato di Nimbus Group è che le imbarcazioni abbiano il minor impatto ambientale possibile, sia durante la produzione che durante l’utilizzo.
Le domande:
In attesa di vederlo dal vivo e, ancora meglio, provarlo i dubbi principali possono essere circa l’attrito e la manovrabilità alle basse velocità, quando non si plana. Sarà certamente interessante anche saperne di più circa le performance e il comportamento della carena con mare formato.
2 commenti su “AirHull, con questa carena la barca consuma la metà”
Avevo avuto la stessa idea e avevo chiesto delucidazioni a chi progetta e produce ses.
Tenuto conto dell’energia necessaria per l’azionamento delle ventole, a me era stato riportato che questo tipo di imbarcazione è più efficiente di una tradizionale solo per velocità che consentono la planata.. mi aspetto che il risparmio citato quindi sia vero solo all’interno di un certo range di velocità.
A me mi sembra una corbelleria su di una barca…