Al Grover, l’uomo che ha fatto l’Atlantico su un 8 metri fuoribordo

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Dal cantiere di famiglia all’Atlantico in tempesta: la folle impresa di Al Grover che nell’estate del 1985 insieme ai figli Al Junior e Dante, sfidò l’oceano con i motori fuoribordo.

Era il 1985 quando Al Grover a 54 anni, nel pieno di una crisi di mezz’età, si propose di realizzare qualcosa che non era mai stato fatto prima. Attraversare l’Atlantico su una piccola barca dotata di fuoribordo. Dalla Nuova Scozia (Stati Uniti) all’Europa. Al era il titolare del cantiere omonimo e per la sua impresa scelse un Grover che battezzò “Trans-Atlantic” di 7,92 metri dotato di fuoribordo Evinrude da 40 CV, più un piccolo fuoribordo di riserva. Con lui portò suo figlio, Al Junior. Fu un viaggio assolutamente epico, preceduto da numerosi tentativi falliti, preparativi sfiancanti e diversi cambiamenti di programma.

 

 


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Inoltre, durante la traversata Al Grover dovette affrontare una burrasca, un uragano e persino una caduta in mare prima di raggiungere Lisbona (Portogallo) ed entrare nel Guinness dei Primati.

La furia improvvisa dell’Atlantico

Padre e figlio allestirono la barca a Pictou, in Nuova Scozia. Una volta in acqua e caricata con circa 2.000 litri di carburante, la barca aveva solo 25 centimetri di bordo libero. Ciononostante, si diressero verso il punto di partenza: l’isola di St. Pierre, al largo della costa meridionale di Terranova.

Mentre erano a St. Pierre, incontrarono un capitano di marina, Claude, che il giorno dopo avrebbe attraversato l’Atlantico a bordo del suo ketch di 16,76 metri, e i due stabilirono un programma per rimanere in contatto. Quando partirono il giorno dopo, il 1° agosto 1985, le condizioni meteorologiche sembravano ideali. Ma già al calar della notte la natura dell’Atlantico era cambiata. Apparentemente senza preavviso, si ritrovarono nel mezzo di una burrasca. “I venti ci hanno distrutto il cervello – ricorda Al Junior – soffiavano con una forza incredibile. Le onde erano alte 3 o 4 metri. Quando ti colpiscono, ti senti come se qualcuno stesse lanciando cemento contro la barca”. Trentasei ore dopo, erano fuori dalla burrasca.

Uomo in mare! La lotta disperata per la sopravvivenza

Il dodicesimo giorno di navigazione, con il mare agitato e Al Jr. che scendeva sottocoperta per dormire un po’, Al Grover si diresse imprudentemente verso poppa, per abbassare il motore ausiliario, senza agganciarsi alla “jack line”. Nel tentativo di forzarlo, l’uomo finì in acqua nel mezzo dell’oceano. La barca continuò a navigare. “Ho sentito il tonfo, sono saltato in piedi e ho visto che era caduto in acqua – ricorda il figlio – ho messo quindi il motore in folle. Dovette tornare a nuoto alla barca perché andava alla deriva. Si avvicinava di circa 3 metri, ma poi arrivava un’onda che lo trascinava via di circa 30 metri. Direi che per 10 o 12 minuti buoni nuotò più veloce che poté”. Finalmente raggiunse la barca e fu tirato a bordo. Ma erano ben lungi dall’essere fuori pericolo.

L’uragano “Claudette”: quando la fine sembrava inevitabile

Durante il viaggio, al e il figlio avevano ricevuto continue rassicurazioni da Claude, il capitano che avevano incontrato a St. Pierre, sul meteo. Ma verso il 19° giorno di navigazione, percepirono preoccupazione nella sua voce. “Ci aveva detto che stava arrivando una tempesta e che non sarebbe andata bene – racconta Al Junior – il tono della sua voce ci fece capire che eravamo in una brutta situazione”. Stavano per essere colpiti dall’uragano “Claudette”. Al aveva un amico di stanza a Governors Island che monitorava il traffico atlantico per la Guardia Costiera. Al, però, racconta che abbandonare la barca e farsi soccorrere non era mai stata un’opzione. “Non avrei abbandonato quella barca se non stesse affondando”, dice. Con il meteo particolarmente brutto, una notte le onde erano alte più di 7,6 metri e i venti superavano i 75 nodi, Al temette il peggio.

Disse al figlio: “Credo che sia meglio prepararci, il nostro viaggio sta per finire”. Ma Al Jr. lo sostenne e gli disse che non aveva ancora finito di vivere. Per gran parte della tempesta, spensero i motori e andarono alla deriva, seguendo le onde. Una piccola vela stabilizzatrice aiutava a mantenere la prua sottovento. Rimasero anche senza contatto radio a causa della batteria scarica. Durante l’assenza di contatto radio, molti temerono il peggio. Ma alla fine il mare si calmò e si resero conto che forse sarebbero sopravvissuti. Al attribuisce il successo nell’aver superato l’uragano alla galleggiabilità della barca, che rimaneva sulle onde come un galleggiante di una lenza.

Verso le Azzorre: la rotta smarrita e un aiuto provvidenziale

Una volta passato l’uragano, Al e Al Jr. dovettero affrontare un’altra una piccola sfida per raggiungere le Azzorre. Non avevano carte nautiche dettagliate e avevano perso la posizione. Una volta ricaricati la radio Vhf e il sistema di alimentazione della barca, Al riuscì a contattare il capitano di un peschereccio portoghese di 46 metri che li raggiunse e fornì loro la rotta esatta per Flores.

Quando raggiunsero Flores, nelle Azzorre, con meno di 220 litri di benzina, mancavano ancora 1.000 miglia al Portogallo. Quindi ad Horta, sull’isola di Faial, rifornimento di altri 2.700 litri di carburante. Qui salì a bordo anche l’altro figlio di Al Grover, Dante, mentre Al Junior, ormai esausto, sbarcò. Quindi viaggiarono fino a Ponta Delgada, sull’isola di San Miguel, prima di dirigersi verso Lisbona. Il viaggio dalle Azzorre a Lisbona fu del tutto tranquillo. In molti giorni l’acqua era quasi del tutto piatta.

L’arrivo in Portogallo per un record leggendario

Padre e figlio sbarcarono a Lisbona la notte del 3 settembre 1985, accolti da un piccolo gruppo, tra cui il distributore Evinrude per Spagna e Portogallo. In totale, percorsero quasi 3.000 miglia in 33 giorni, 26 dei quali in mare. Incredibilmente il loro viaggio fu completamente privo di problemi meccanici al propulsore. Soprattutto, la Groverbuilt Trans-Atlantic dimostrò di poter resistere ad alcune delle peggiori condizioni che l’Atlantico aveva da offrire.

David Ingiosi

Photo credits immagini: www.powerandmotoryacht.com


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3 commenti su “Al Grover, l’uomo che ha fatto l’Atlantico su un 8 metri fuoribordo”

    1. Ciao Luca, la foto a cui ti riferisci è una di repertorio del cantiere Grover in cui si mostra l’allestimento di un’altra barca. Su quella utilizzata nel record (si vede bene nell’immagine di apertura) i propulsori sono due, uno principale e uno di rispetto, più piccolo.

  1. Nella foto in navigazione c’è 1 motore principale e l’ausiliario, come riportato nell’articolo. Probabilmente la foto in porto è di una prova

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