Alessandro Nazareth è il presidente del Comitato Tecnico Internazionale dell’Offshore Racing Congress (ORC). Da 35 anni progetta imbarcazioni con lo studio Vallicelli Design di Roma e ha contribuito alla progettazione di oltre 200 imbarcazioni a vela, tra cui due concorrenti dell’America’s Cup (le sfide di Azzurra 1983 e 1987), e a motore. Le sue competenze tecniche spaziano dall’idro/aerodinamica alle questioni strutturali, compresa una vasta esperienza nei test in vasca e in galleria del vento, nell’analisi CFD (Computational Fluid Dynamics, Fluido Dinamica Computazionale) e nel FEM (Finite Element Method, Metodo a Elementi Finiti). Gli abbiamo chiesto quali siano le sue 10 imbarcazioni a motore preferite nella storia recente dello yacht design e perché le ha scelte. Ecco cosa ci ha risposto.
Riva – Aquarama
Nella mia adolescenza passavo le estati a Santa Margherita Ligure e andavo spesso a Portofino. Eravamo negli Anni 60, il Riva Aquarama era il motoscafo più ammirato nonché il più esclusivo. La mattina i vari marinai del porto aprivano i cofani e accendevano i motori per l’armatore che sarebbe arrivato per fare l’uscita giornaliera per il bagno.
La passione di mio padre mi aveva già instradato sul diventare un velista più che un “motoscafaro”, però quella barca tutta in mogano lucidato a coppale con la poppa che unisce le superfici di murate, coperta e specchio di poppa in una unica superficie mi attirava molto esteticamente. Non sapevo nulla di jet set e di gente famosa che girava con l’Aquarama però la barca mi colpii molto.
Aquarama aveva due propulsori di derivazione General Motors, e Chrysler, da 185CV fino a 400CV (arrivava anche a 45 nodi). Il vano motore era coperto da un prendisole con materassini normalmente turchese, c’era anche una capote a mantice, che scompariva dietro i sedili posteriori, per l’epoca un gadget molto riuscito. Il particolare volante bicolore con l’ azzurro turchese era anche questo di derivazione automobilistica. Ebbe varie versioni allungate come il SuperAquarama e per fortuna molti collezionisti li hanno mantenuti in ottime condizioni e se ne vedono ancora nei nostri porti
Baglietto – Ischia
Il Baglietto Ischia si può considerare il primo superyacht visto che per gli Anni 60, una barca di 16 metri era considerata come qualcosa non alla portata di tutti. In ogni caso, la legge dell’epoca non obbligava ad avere a bordo un “padrone marittimo” cioè un marinaio abilitato, quindi i costi di mantenimento erano più contenuti di un equivalente yacht odierno.
È stata la barca che ha fatto conoscere il nome Baglietto non solo in Italia ma anche nel mondo. Io l’ho vista girare ormai quando erano fuori produzione, all’inizio degli Anni 70, mi piacque molto l’impostazione della plancia a livello del ponte e la dinette sotto la tuga vetrata
Le barche avevano quasi tutte un flying bridge ma la versione che mi piaceva di più era quella senza: risultava più sportiva e aggressiva. Costruita in mogano lamellare con carena monoedrica, aveva due motori per un totale di circa 700 HP e raggiungeva una ragguardevole velocità, sui 20-24 nodi.
Cantieri di Pisa – Kitalpha 15
A metà degli Anni 60 comincio a passare le estati a Castiglione della Pescaia dove i miei avevano costruito una casa. Tra i ricordi più indelebili c’è il motoscafo più grande ormeggiato nel porto canale, tra l’altro nella banchina dove si ormeggiavano le barche del Club Velico dove passavo quindi ogni giorno.
La barca era di un imprenditore romano delle acque minerali. Si chiamava Luigiotto ed era un Kitalpha 15 dei Cantieri di Pisa.
Poteva sembrare una versione riveduta e corretta dell’Ischia di Baglietto, ma non era così. L’impostazione della sovrastruttura era molto più arretrata con un pozzetto più ridotto e disposizioni interne differenti. Anche il Kitalpha era costruita in mogano lamellare, ma usando un po’ di compensato marino sui fianchi (opera morta) interponendo anche delle stuoie di vetroresina tra i vari strati (tecnica poi usata molto anche da noi in molte costruzioni di legno lamellare anche su barche a vela).
La carena era molto performante, con meno di 400 HP riusciva a ottenere velocità sui 20-24 nodi.
A’ Speranziella di Sonny Levi
La Speranziella di Sonny Levi è sicuramente la barca che è rimasta nella memoria della generazione precedente alla mia, come la barca sportiva per antonomasia. Io ero troppo giovane ma ne giravano ancora molte nella versione da diporto quando ero adolescente ed erano particolarmente eleganti con lo scafo bianco e le fiancate della tughetta bassa in mogano a coppale (che abbiamo usato anche su tante barche a vela costruite in legno).
L’originale che vinse la Cowes-Torquay 1963 (una delle grandi classiche Offshore dell’epoca come la Miami-Nassau o la Viareggio-Bastia-Viareggio) era tutta in mogano a coppale. La carena aveva un angolo diedro molto pronunciato e sezioni immerse costanti per buona parte della sua lunghezza una struttura ottimizzata come peso (uso pronunciato dello spruce per le strutture longitudinali, niente costole, insieme al fasciame in lamellare di mogano). Motorizzazione fino a 800 HP per raggiungere velocità oltre i 40 nodi.
Italcraft – Sarima 38’
Costruita da Italcraft a Bracciano (svariate centinaia di esemplari) a partire dagli anni ‘60 era una barca molto diffusa in Tirreno e mi succedeva spesso di vederne ormeggiata qualcuna in qualche caletta tra Punta Ala, Castiglione e Argentario
Aveva una estetica inconfondibile dal il cavallino rovescio con una curva molto pronunciata e discendente verso prua che si notava molto quando era ormeggiata. Aveva un parabrezza un po’ eccessivo (forse l’unica nota stonata) ma immagino che proteggesse molto ‘equipaggio dagli schizzi che bagnavano la coperta con mare formato
La carena era semi-planante con un angolo diedro molto pronunciato che le dava molta stabilità’ di rotta ed era in compensato marino, quindi una costruzione abbastanza semplice.
La motorizzazione poteva superare i 300 CV per una velocità di crociera intorno ai 20 kts (era una carea semi-dislocante).
Boston Whaler – Boston Whaler 13’
Quando cominciai a passare le estati a Castiglione, se non eravamo in FJ a scuola vela passavamo le giornate in barca a vela con mio padre. Purtroppo mia madre non amava molto la barca a vela quindi mio padre comprò anche un “motoscafetto” (così mi parve allora) usato che si chiamava “Troiaio” (i maremmani conoscono i molteplici significati di questa parola), famoso perché nella pubblicità del cantiere americano si vedeva la barca segata in due che continuava non solo a galleggiare ma anche a muoversi.
Era un Boston Whaler 13’ con la consolle laterale su cui io appresi i rudimenti della guida di una barca a motore. Con la carena particolare a tripla V molto poco pronunciata bastava poca onda di maestrale per cominciare a sbattere (per fortuna la mia schiena non ne ha risentito troppo).
Ricordo che con il Boston nel 1969 facemmo assistenza per il Campionato Europeo 470 , che penso era diventata barca olimpica da poco, scarrozzando il suo progettista francese Andre’ Cornu, un tipo molto simpatico (forse li ho capito che progettare barche poteva essere un mestiere divertente…).
Wally – Wally Tender 45’
Metto il primo Wally Tender perché Luca Bassani ha imposto sul mercato un nuovo genere per i tender, il fast-tender moderno di appoggio al maxi yacht. Poi ne sono stati fatti abbastanza da diventare un po’ lo status –simbol e un modello da imitare (al recente salone di Düsseldorf c’era un padiglione intero dedicato ai tender con decine di modelli epigoni del Wally Tender.
Circa 15 anni fa Luca Bassani ci chiese , come esperti di costruzioni in legno lamellare, di progettare la versione in legno per un loro cliente storico, fu un lavoro divertente a purtroppo non si riuscì a portarlo a compimento (sarebbe costato molto di più del modello in composito…….).
CRN – F100
L’F100 di Agnelli è stato il capostipite di un genere, gli explorer yachts, che poi è diventato oggi molto di più che una nicchia di mercato dei motor yacht.
Varato nel 1983 da CRN (Ancona) e disegnato da Gilgenast era ottimizzato per lunghi transiti con ogni tempo con comfort elevati in uno stile minimalistico e fu tra i primi ad adottare pavimenti flottanti che fossero isolati dalle vibrazioni.
Mi ricordo quando durante gli allenamenti di Azzurra Agnelli arrivava con l’elicottero, atterrava su F100 e veniva portato a bordo con un tender. Dopo aver provato la barca per non più di un’ora (oltre che avere molti impegni si stufava abbastanza velocemente) si tuffava in acqua dove veniva recuperato dal tender e ritornava sull’F100
ISA – Okto
Mi sono concesso di inserire Okto come barca rappresentativa del mio studio, per il suo stile particolare è ancora molto attuale nonostante sia stata varata dal cantiere ISA di Ancona nel 2014 e progettata nel 2011.
Con 66 m di lunghezza fuori tutto è la più grande (per ora, verrà superata a breve da un paio di yacht che abbiamo in costruzione in Italia ed in Turchia) barca varata su progetto del nostro studio.
Ancora oggi riceviamo molti complimenti su questa barca e speriamo a breve di realizzare un evoluzione in qualche altro cantiere.
1 commento su “Le 10 barche immortali per il progettista Alessandro Nazareth”
Mi fa piacere veder pubblicato Il Sarima Italcraft, vuoi altro perchè è il mio ! Volevo precisare che NON è un 38′ ma un 23′ cioè 7metri, monta due Volvo Penta AQ140 benzina di 125cv ognuno con piedi 280 e raggiunge la velocità di 30 nodi. Su Youtube c’è il video in navigazione che abbiamo ripreso con un drone (da cui sicuramente è stata tratta la foto).Ormai in giro ce n’è assai meno delle dita di una sola mano. Prima di questa ho avuto uno stupendo V-CAT 38 vela di Vallicelli (che credo Ella conosca molto bene) col quale ho girato tutto il Mediterraneo, e che ancora rimpiango. Cordiali saluti . A.R.