Ecco come funziona la demolizione delle barche in Italia

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Barca usata
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Quando si decide di demolire una barca in vetroresina obsoleta in Italia, qual è l’iter da affrontare? Come avvengono il disassemblaggio e lo smaltimento? Quanto costa? Vi sveliamo, con l’aiuto dell’esperto, tutto quello che dovete sapere sul fine vita delle imbarcazioni (immagine di apertura tratta da YouTube)

Complice una crescente attenzione verso le tematiche “eco” (per fortuna!), la vexata quaestio della demolizione delle barche in vetroresina e il loro smaltimento è molto sentita. Cosa dice la legge circa il “fine vita” delle imbarcazioni in Italia? Che procedure dovrà affrontare un armatore che decida di demolire la propria barca? Quanto costa l’operazione? Come funziona il processo di disassemblaggio dello scafo? Per rispondere a queste domande ci siamo fatti aiutare da Giovanni Fiore, responsabile tecnico di G.F. Service srl di Bacoli (Napoli), una delle (poche) aziende italiane che si occupa, con tecnologie a regola d’arte, della demolizione e dello smaltimento di ogni genere di imbarcazioni, dalla deriva al superyacht.

Giovanni Fiore è il responsabile tecnico di G.F. Service srl (www.gfservicesrl.com), una delle poche aziende che in Italia si occupa, tra le altre cose, della demolizione e disassemblaggio di imbarcazioni obsolete, stampi, accessori.

LA PRIMA FASE “BUROCRATICA”
Mettiamoci nei panni di un armatore di una barca di medie dimensioni (10-12 metri) che non è più utilizzabile e necessita quindi di essere demolita. “Le leggi che disciplinano lo smaltimento delle barche in Italia sono fumose, ma in realtà l’iter che un armatore deve intraprendere per demolire uno scafo non è così tortuoso”, esordisce Fiore.

“Dovrete per prima cosa contattare la Capitaneria presso la quale è stata immatricolata l’unità (tutto questo potrà essere fatto online una volta attivo il registro telematico? Speriamo, ndr) per richiedere l’autorizzazione alla demolizione della barca e la conseguente domanda di cancellazione dal registro. Se avete intenzione di riutilizzare l’entrobordo su un’altra unità, o rivenderlo, dovrete richiedere in Capitaneria anche il nullaosta per lo sbarco del motore. Se invece volete disfarvi anche del propulsore, dovrete specificare, nella richiesta di autorizzazione, che il motore e le parti meccaniche saranno demolite e prese in carico dall’azienda, indicata dall’armatore, che si occuperà della demolizione”.

Il costo di questa ‘istruttoria’ varia poiché è in funzione di una tassa di smaltimento provinciale (a cui andranno aggiunte le marche da bollo e un certificato che attesta che sull’unità non è imbarcato personale marittimo). Se l’azienda che demolirà lo scafo è seria, eseguirà un sopralluogo per verificare lo stato della barca, vi richiederà i documenti, la perizia di stima e stilerà un dettagliato preventivo.

LA PALLA PASSA ALL’AZIENDA
Una volta che la Capitaneria avrà fornito tutte le direttive burocratiche necessarie, la palla passa all’azienda che si farà carico del trasporto dell’imbarcazione nel sito di demolizione: “Tocca al demolitore informare la Capitaneria del giorno esatto dell’inizio dei lavori”, prosegue Fiore, “che corrisponde con il ‘taglio della prua’ della barca. In tale giornata dovrà essere presente, necessariamente, un ufficiale in rappresentanza della Capitaneria, per certificare che sia tutto in regola. Ovviamente, l’azienda può essere passibile di verifiche e controlli anche durante i lavori”.

I lavori possono iniziare. Bene, ma in cosa consistono e quanto durano? “Viene redatto un piano di demolizione e un piano operativo preliminare (che contiene, in soldoni, il ‘chi fa cosa’ e le certificazioni del personale coinvolto, tutte le misure di sicurezza che vengono applicate e tutta la valutazione dei rischi). Inoltre viene inviato all’INPS e all’INAIL la Denuncia dell’inizio delle attività”.

COME VIENE DEMOLITA UNA BARCA
Passiamo alla fase operativa: “Si parte con l’allestimento del cantiere: l’area che verrà dedicata alla demolizione della barca viene circoscritta con reti da cantiere, l’accesso è riservato esclusivamente al personale, si predispongono tutte le misure antincendio per la presenza dei mezzi meccanici. Deve poi essere presente un bagno chimico per gli operatori tecnici specializzati: noi installiamo nel sito anche un’unità mobile decontaminante per la pulizia dei dipendenti). I cingoli dell’escavatore demolitore vanno avvolti da un nastro gommato per proteggere l’eventuale pavimentazione. Sotto all’invaso su cui è sistemata la barca, va sistemato un telo di polietilene per evitare la contaminazione del suolo, sia esso cemento che terreno. Se è prevista la demolizione dell’entrobordo, sotto al vano motore va steso uno strato assorbente per evitare la dispersione di oli nocivi”.

Lo step successivo è il disassemblaggio vero e proprio: “In parte viene eseguito manualmente con operatori specializzati, le porzioni in vetroresina più grandi vengono distrutte con l’aiuto dell’escavatore con pinza demolitrice. Nel contempo avviene la ‘cernita’, la divisione dei vari materiali: plexiglass delle finestrature, acciai di bordo, parti elettriche, tubature, legni, pellami, cuscinerie”. Seguono il carico con l’ausilio del “polpo” caricatore, e il successivo trasporto presso gli idonei impianti di smaltimento autorizzati dei materiali ed il disallestimento del cantiere: “La durata dei lavori può allungarsi se l’armatore vuole recuperare dei pezzi di barca (alberatura, mobili, legni, eliche, apparecchiature, etc), ma per una demolizione totale di una barca di 10-12 metri serviranno almeno 2-3 giorni di cantiere”.

QUANTO COSTA IL TUTTO?
E poco più di 3.000 euro, se si considera che il cantiere, in media, costa dai 1.000 ai 1.200 euro al giorno. Non è poco, ma se i lavori vengono eseguiti a regola d’arte, rispettando l’iter di cui sopra, capirete che il prezzo è giustificato: vedremo poi come esista la possibilità di recuperare qualche ‘verdone’. E ora veniamo allo spinoso (sia dal punto di vista ambientale che economico) smaltimento della vetroresina: “In altri paesi si stanno dando da fare, ma in Italia non esiste ancora un sistema efficiente di riciclo della vetroresina, che finirà in discarica. Questo fa sì che i costi a carico dell’armatore siano piuttosto elevati: quest’anno (causa emergenza ecologica) si parla di circa 450 euro per tonnellata”.

L’unico processo di trattamento degli scafi in vetroresina attualmente disponibile è la demolizione termica non ossidativa (la cosiddetta pirolisi), con la quale si ottiene una miscela di gas e un residuo solido (ovvero le fibre): tale sistema necessita di grandi quantità di energia termica per arrivare alle temperature necessarie (dai 400 agli 800 gradi). Prendiamo un classico Grand Soleil 39 di Jezequel (speriamo che non dobbiate mai demolirlo), 8,3 tonnellate di dislocamento. Tolti i legni e i metalli, rimarranno almeno 4-5 tonnellate di vtr da smaltire? Preparatevi a sborsare almeno 1.800 euro più le spese di trasporto. Facendo due calcoli, difficilmente andrete a spendere meno di 5-7.000 euro: ecco spiegato perché in banchina se ne sentono di tutti i colori relativamente a barche portate al largo e affondate per evitare le spese di demolizione (follia!). E perché i nostri entroterra sono zeppi di relitti in vetroresina lasciati a morire in secca.

I METALLI DI BORDO RIDUCONO IL COSTO
Ma attenzione: la demolizione operata nel pieno rispetto delle regole è la scelta più logica e responsabile nei confronti dell’ambiente e come vi abbiamo anticipato c’è la possibilità di ridurre i costi: vendendo (vi dovrete sobbarcare gli oneri del trasporto dei materiali ovviamente) separatamente il motore, le vele, l’alberatura, gli strumenti, e tutto quanto sia commercializzabile. E i metalli di bordo sono una risorsa importante, spiega Fiore. “Il reso dei metalli è la soluzione più conveniente per gli armatori. A seconda del prezzo di mercato del metallo in quel preciso momento, da un’imbarcazione di medie dimensioni si possono ricavare dai 1.500 ai 2.000 euro”.

DOVE FINISCONO GLI STAMPI?
Curiosità finale. Un lettore ci ha chiesto lumi su dove finiscano gli stampi in vetroresina delle barche uscite di produzione: “Quando in cantiere decide di disfarsi di uno stampo, l’operazione è più semplice: la determinazione dei costi è immediata perché nelle schede tecniche degli stampi sono riportate le esatte quantità di vtr e metalli presenti. L’operazione di demolizione andrà comunicata in questo caso all’Agenzia delle Entrate, che invierà in sua rappresentanza, il giorno dell’inizio dei lavori, un ufficiale della Guardia di Finanza”.

Eugenio Ruocco

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12 commenti su “Ecco come funziona la demolizione delle barche in Italia”

  1. Buonasera,ho letto con interesse il Vs. articolo sulla demolizione delle barche,presumo che in caso di natante(barca non immatricolata) non sia necessaria l’autorizzazione da parte della capitaneria di porto,E’ così? Grazie e cordiali saluti.

  2. Buongiorno, se si tratta di demolire una unità iscritta nei RR.NN.MM. e GG. uso in conto proprio di una tonnellata di stazza, con motore fuoribordo da 15 CV, va richiesta alla capitaneria il nulla osta di sbarco del motore e la relativa comunicazione agli uffici doganali?
    Grazie cordiali saluti

  3. roberto centrella

    Buongiorno, vi chiedo se il cantiere che demolisce la barca può commercializzare, come usato, parti della imbarcazione, cosi come avviene per i rottamatori di auto? Mi riferisco al motore, l’albero,o altro.
    Grazie

    1. Buongiorno,

      Dovrebbe chiedere al cantiere dove ha intenzione di far rottamare la barca. L’armatore stesso, volendo, può vendere le parti. Quindi dipende se le vuole lasciare al cantiere o vendergliele. In ogni caso vale la pena chiedere ad un cantiere specializzato!

      Buona giornata,

      La Redazione

  4. roberto centrella

    Grazie per la solerte ed esplicativa risposta. Esistono nel Lazio cantieri di smaltimento?
    Cordiali saluti Roberto Centrella.

  5. Sono monica montagner titolare della ditta PREcology srl con sede in via delle Villotte,18 Pordenone. Ho visto la foto in questo articolo, e chiedo il motivo per cui una rivista autorevole come la vostra possa prendere una foto con Copyright di un nostro lavoro dal nostro sito, per pubblicizzare una ditta che non è la nostra. senza autorizzazione.

    1. Buongiorno Monica,

      La foto di questo articolo è una schermata tratta da un video di 30 secondi presente su Youtube (qui il link: https://www.youtube.com/watch?v=jWqQF7Iesoc) dove non si menziona la sua azienda, ma sembra piuttosto un video amatoriale. Se l’avessimo saputo non l’avremmo utilizzata. Solo a titolo informativo, l’articolo non è nato da alcun accordo pubblicitario, ma solo a fini didattici circa la situazione in Italia. Detto questo provvediamo a sostituirla,

      Cordialmente,

      La redazione

      La redazione

  6. Pingback: Che fine fanno le barche sequestrate usate per gli sbarchi dei clandestini? – Italia da vivere

  7. Anonimo Velista

    “se si considera che il cantiere, in media, costa dai 1.000 ai 1.200 euro al giorno”
    Ahahah e cosa hai il Titanic? Mediamente un cantiere si prende 300 euro al mese nella stagione invernale e 150 al mese nella stagione estiva per 10 15 metri di barca. Ovviamente per i natanti la procedura è diversa. Purtroppo ad essere cari sono gli ormeggi che sono completamente fuori legge, da un punto di vista ecologico e logico. Infatti in zona Mergellina lontani da isole e zone di mare chiedono anche 5000 al mese, senza poter andare da nessuna parte a fare il bagno, se non nel blu dipinto di blu. In zone come Torre del Greco vicino alla costiera e capri invece chiedono dagli 800 ai 1000 al mese sempre in alta stagione. Eppure Capri e la costiera sono zone IN. Nella zona Miseno Bacoli arrivano a chiedere 6500 6 mesi. Prezzi spropositati per barche anche modeste e per servizi come cime, acqua, luce, parcheggi, ormeggiatori, che in concreto costano poco. Mi sono domandato, leggendo l’articolo, se esiste una rotazione dei pezzi, in particolare molte vele sono d’epoca e i ricambi non esistono più. Speriamo che la tecnologia colga anche questo ramo e lo faccia fiorire ciao.

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