Oggi sui quotidiani italiani tiene banco la bagarre Agnelli/Elkann. L’oggetto del contendere? È l’eredità di Gianni e Marella Agnelli, e a scontrarsi sono Margherita Agnelli e i figli John, Lapo e Ginevra Elkann.
Nel confronto sono entrate anche le numerose barche che Gianni Agnelli ha posseduto. Questo per via della ricerca di un tesoro non dichiarato di cui fanno parte anche le barche possedute tramite società estere. Una situazione, questa, che a detta di Margherita Agnelli l’avrebbe messa in una situazione di svantaggio nell’eredità. Questioni di lana caprina. Noi ci limitiamo a rivedere le migliori barche a motore dell’Avvocato che, da armatore, è stato un vero visionario.
La flotta di Gianni Agnelli
Armatore, amante del mare e innovatore. Le barche, Gianni Agnelli, le aveva nel sangue fin da giovane. Come scrivevamo su Barche a Motore N.30:
“non sempre sono i cantieri o i designer a creare le tendenze. O meglio, talvolta serve una scintilla per accendere la miccia della genialità, qualche incontro fortuito che metta in moto le idee. Se pensiamo a com’è cambiata la barca a motore negli ultimi 70 anni dal piccolo open al grande yacht possiamo individuare abbastanza agevolmente una figura che, a modo suo, ha influenzato il modo che abbiamo oggi di navigare sul mare. Partiamo da un aneddoto. Sapete chi è che ha dato lo spunto per la nascita di barche di culto come i Wallytender, da cui è nato il fenomeno chase boat o shadow boat? No, non stiamo parlando di Luca Bassani, ma di colui che in qualche modo l’ha ispirato: Gianni Agnelli (1921-2003).
Qui sotto vediamo 10 tra le barche a motore più famose possedute da Gianni Agnelli.
KUM – 1950
Kum, un motoscafo costruito in America nel 1950, fu la prima barca a motore posseduta da Agnelli che l’acquistò quando aveva 29 anni.
Covenant (ex GIM) – 1952
Nel ‘52 dal cantiere Baglietto di Varazze, Agnelli acquistò il Gim, un open con carena sportiva, la prua slanciata e la poppa a scivolo che era stato costruito nel 1940 per il segretario del partito fascista Ettore Muti, il cui soprannome era appunto “Gim dagli occhi verdi”. L’Avvocato fece fare dei lavori di aggiornamento e lo rimise in acqua con un nome nuovo: Covenant.
Leopolda – 1958
Agnelli commissiona a Baglietto il Leopolda, un motoscafo cabinato di quasi 10 metri a metà tra l’open e il cabinato
G.A. 30 – 1961
G.A. 30, costruito da Baglietto a Varazze. 30 indicava la velocità massima, G.A. sta per Gianni Agnelli. Per farlo Agnelli portò da Baglietto l’architetto Amedeo Albertini, autore della sua villa in collina torinese per lavorare agli interni del GA 30. Con lui c’era, come giovane di studio, Paolo Caliari, destinato a diventare uno dei più apprezzati yacht designer contemporanei. Da quell’esperienza, infatti, restò a lavorare nel cantiere al fianco di Pietro Baglietto portando una ventata d’aria fresca nella nautica. Tornando al GA 30, questo yacht fu un punto di svolta per le prestazioni: spinto da tre motori diesel questo novanta piedi raggiungeva i 30 nodi, numeri impressionanti per l’epoca.
Ultima Dea – 1962
Ultima Dea è il primo offshore da corsa (progetto “Sonny” Levi) di Agnelli con cui partecipò alla Cowes-Torqay del 1961.
“Fu al primo Salone Nautico di Genova – racconta Sonny Levi nel libro Dhows to Deltas – del 1962 che fui avvicinato da Pietro Baglietto, costruttore di cabinati di lusso di fama internazionale, che mi chiese se fossi interessato a progettare una barca per uno dei suoi clienti con l’obiettivo di vincere la regata Cowes-Torquay del 1962. All’epoca non sapevo chi fosse il potenziale proprietario, ma accettai la sfida con grande entusiasmo. L’imbarcazione che nacque era l’Ultima Dea e il proprietario era il noto industriale Giovanni Agnelli, presidente della casa automobilistica Fiat.”
L’offshore che si fece costruire, Ultima Dea, era l’evoluzione di A’ Speranziella, scafo che nel 1961 aveva preso parte alla primissima edizione della Cowes-Torquay, organizzata dal direttore del quotidiano Britannico Daily Mail. “Partii a razzo e rimasi in testa per lunghi tratti – raccontò Levi a seguito di quella prima volta della Cowes Torquay – e dagli aerei scattarono foto memorabili che finirono sulle pagine di tutti i giornali mentre il mare era a forza cinque e sembrava ribollire. Finii settimo a causa di un’avaria e tutti si ricordarono di me dimenticandosi del vincitore”.
Fu la performance realizzata da A’ Speranziella in quella prima assoluta ad aver impressionato l’Avvocato spingendolo a volerne una simile. Per la cronaca A’ Speranziella dovette aspettare solo un paio d’anni per vincere la gara, nel 1963. L’Avvocato, invece, prese parte all’edizione 1962 al timone di Ultima Dea costruito dai Cantieri Naval-tecnica di Anzio ed equipaggiato con tre motori Maserati a benzina, che insieme erogavano 1.380 cavalli di potenza. Agnelli gareggiò, poi, un’altra volta soltanto, all’italiana Viareggio-Bastia-Viareggio. Entrambe le esperienze furono tutto sommato negative, i problemi tecnici erano all’ordine del giorno e l’Avvocato ne fu vittima. Questo, comunque, non lo scoraggiò e nacque un altro bolide, Ultima Volta.
Ultima Volta – 1966
Ultima Volta, nomen omen dell’esperienza offshore di Agnelli. Un 11 metri velocissimo, ma che non completò mai una gara. Spinto da un solo (enorme) diesel Carraro da 900 cavalli, questo 11 metri venne impiegato nel 1966 e il pilota mostrò tutta la sua grinta, conducendo in testa la parte iniziale della corsa francese Dauphine d’Or. Ma fu costretto al ritiro dall’ennesimo guasto meccanico. Così finì la carriera da pilota offshore di Agnelli. Questa barca aveva una la sua somiglianza ad un progetto leggendario per gli amanti dell’offshore d’annata, cioè il Surfury, ma soprattutto la squadra di carpentieri di Anzio che lo costruì, da lì a poco fece nascere il Cantiere Delta.
G Cinquanta – 1967
G Cinquanta, la barca perfetta per Gianni Agnelli. Quattro motori, 55 nodi di velocità massima, una piccola cabina. Ad uso diportistico. Il sodalizio tra Sonny Levi e questo cantiere diede vita a barche cult come l’Hidalgo, ma soprattutto è da questo cantiere che uscì la “barca perfetta” secondo Gianni Agnelli, il G. Cinquanta. Nel 1967 l’imprenditore andò da Levi con un’idea ben chiara in mente: non voleva più un offshore puro, ma un modello di design più stiloso e confortevole, ma sempre velocissimo. Il brief, come si direbbe oggi, fu tanto essenziale quanto evocativo:
“Mi serve un fast commuter – disse l’Avvocato – confortevole in mare agitato e che faccia almeno 50 nodi. Sa, mi piacerebbe arrivare al traguardo di una gara offshore… prima del vincitore.”
Costruita dai cantieri Delta alla fine di nodi ne faceva 55, spinta da quattro motori BPM Vulcano per un totale di 1.280 cavalli. L’esperienza offshore, dove i progetti spesso erano portati all’estremo, fu sfruttata per creare uno scafo che potesse mantenere un’andatura sostenuta, che planasse agevolmente e che fosse manovrabile anche ai bassi giri. La disposizione dei motori (due V-drive centrali e due in linea d’asse all’esterno) e delle eliche era stata sviluppata appunto per ottenere un buon compromesso tra top speed e facilità d’uso. Per la velocità arrivarono modelli come l’Adagio, costruito dalla Delta di Fiumicino nel 1981 e di gran moda negli anni ‘80.
ADAGIO – 1981
Adagio è stato un altro veloce motoscafo cabinato costruito dalla Delta di Fiumicino nel 1981. Di gran moda negli anni ’80.
F100 CRN – 1983
F100, costruito da CRN, è un cult, considerato il primo “explorer yacht” della storia. Il progenitore di questa categoria è stato l’F100, uno dei più celebri yacht di Gianni Agnelli, commissionato a CRN nel 1983 e diventato capostipite di un genere d’imbarcazioni che oggi, con tutte le sue evoluzioni, è protagonista nel mercato dei grandi yacht. A quel tempo i quasi 33 metri dell’F100 erano numeri da capogiro e fu, senza dubbio, anche grazie a questo progetto che CRN si consacrò ed ebbe un impulso importante verso ciò che è diventata oggi. Prima di quel momento, infatti, mai nulla di così grande era uscito dal cantiere.
Le linee ricalcavano quelle di un rimorchiatore classico riadattato ad uso diportistico mentre la sigla “100” stava per il numero di costruzione del cantiere CRN di Ancona. Se le sue barche a vela, l’avvocato le usava principalmente per divertirsi, l’F-100 era stato concepito, invece, come mezzo di servizio, capace di garantire il massimo del comfort e dei servizi nelle “minori” dimensioni possibili. In ogni caso sul ponte di coperta era stato studiato uno spazio per l’elicottero, compagno inseparabile per riuscire a coniugare impegni di lavoro e uscite in mare. Lo yacht, poi, così come i moderni explorer aveva un’autonomia immensa e nessun rumore, ma anche un motore solo.
“Ho troppa fiducia, per professione, nei motori – disse Gianni Agnelli in un’intervista a Vincenzo Zaccagnino – per accettare di avere sul mio yacht una motorizzazione doppia”.
VOLTURE
L’ultima barca di Agnelli, un motoscafo costruito in Australia usato anche come tender del suo F 100. Il suo nome era Volture e la leggenda narra che fu proprio questo grande motoscafo di supporto ad ispirare il Wally Tender di Bassani.
Fonte immagini:
- Archivio Storico Baglietto
- Archivio Barche a Motore
- Remi Dargegen ©2020 Courtesy of RM Sotheby’s
4 commenti su “Eredità Agnelli. Le 10 barche a motore più belle dell’Avvocato”
Si, barche regalate dallo stato a questa famiglia di parassiti, che sono andati avanti a spolpare come maiali fino all’ultimo brandello gli “aiuti di stato” per poi scappare all’estero. Hanno distrutto l’intero automotive italiano
Perché tutta questa cattiveria l indotto Agnelli a dato lavoro a 65000 persone ma quale parassita sai quanti migliardi di lire a versato nelle casse dello stato del imps e quanti stipendi. Nn sono d accordo. Brutta cosa l invidia vatti a curare cecco o checco.
Di barche a motore non ne ha mai capito niente. Stessa cosa per le macchine a motore… le fiat andavano bene solo se spinte
Il mondo e stato così e sarà sempre così purtroppo personaggi a cui credere non ce ne sono