Ferretti lascia Taranto. Quando la burocrazia ferma il “Made in italy”

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Ferretti 1000C’è chi vuole investire (e tanto) nella nautica. Ci sono gli spazi, i progetti, ma tutto resta bloccato per colpa della burocrazia all’italiana lenta e farraginosa. Ferretti Group ha rinunciato ufficialmente alla gara pubblica nel porto di Taranto, in Puglia, per il rilancio dell’ex area Belleli.


Ferretti è un colosso da oltre un miliardo di fatturato, tra i primi gruppi al mondo nella produzione di yacht e superyacht con marchi internazionali come Riva, Wally, Ferretti Yachts e Itama. Controllato all’86% dalla holding cinese Weichai ha la sua sede a Ravenna.

Salta quindi un investimento da circa 200 milioni di fondi pubblici e privati per rilanciare la zona.

L’obiettivo iniziale era stato annunciato circa tre anni fa. La realizzazione di un sito industriale per la costruzione di modelli e stampi per la produzione di scafi, coperte e sovrastrutture in composito e carbonio oltre ad un centro di ricerca per materiali avanzati.

Perché Ferretti non investirà a Taranto

Ferretti Group abbandona il piano di investimento da oltre 62 milioni a cui si sarebbero aggiunti altri 137 di fondi pubblici per il porto di Taranto. La parte di Ferretti riguardava l’allestimento e la messa in moto dell’attività produttiva. I sostanziosi contributi pubblici messi in campo da MISE, oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Fondo Infrastrutture, Regione Puglia e Autorità Portuale sarebbero serviti a bonificare l’area dei lavori.

Costi che salgono e tempi indefiniti le ragioni dietro il ritiro. Eppure stando a quanto riportano gli addetti ai lavori, il supporto delle istituzioni non è mai venuta meno, anzi c’è stato grande impegno. Dove sta l’intoppo, allora? Il problema viene ravvisato nel fatto che Taranto è qualificata come area SIN, sito di interesse nazionale, luogo che necessita di attenzioni particolari in quanto fortemente contaminato.

Questo ruolo di osservata speciale, con vincoli e tempi burocratici che si dilatano (oltre il solito), in questo caso l’ha penalizzata troppo dando poche certezze agli investitori. Questo significa lavori fermi e niente rilancio per un ambiente che probabilmente avrebbe avuto più giovamento dalla bonifica e dall’inizio dei lavori che non dalla situazione attuale.

Cosa insegna il caso Ferretti a Taranto

L’impasse in questo caso rischia di costare caro, non solo in termini economici, ma pratici. Se gli investimenti, quando ci sono, vengono fermati dalle lungaggini burocratiche, il rischio di una paralisi dello sviluppo è un campanello che deve risuonare forte perché non succede nuovamente.

“Abbiamo già chiesto di recente al prefetto – dichiara il presidente di Confindustria Taranto, Salvatore Toma un tavolo sui temi dello sviluppo. Ora, a pochi giorni dall’insediamento del Commissario straordinario per le bonifiche, Uricchio, e ancor di più alla luce della vicenda Ferretti, chiediamo l’apertura di un confronto urgente che ci veda allo stesso tavolo col ministero dell’Ambiente e gli altri ministeri competenti per valutare ogni azione propedeutica alla risoluzione di problemi che altrimenti porteranno alla paralisi del territorio”. 


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3 commenti su “Ferretti lascia Taranto. Quando la burocrazia ferma il “Made in italy””

  1. E meno male che è saltato! Altro ennesimo esempio di collettivizzazione della spesa e privatizzazione del guadagno. Questi non sono capitani di industria, ma piattole in giacca e cravatta. Sono zecche come queste che hanno devastato l’Italia

  2. La FERRETTI non è una zecca come dice quel…., ma un imprenditore invidiato da molti paesi. I suoi prodotti sono belli e all’avanguardia mentre alcuni con le zecche in testa vorrebbero tornare al secolo scorso. Il vero tumore dell’Italia è uno solo…si chiama burocrazia, che è poi un male creato artificiosamente dai deficenti pigri e incapaci.

  3. La Burocrazia imperversa, la Politica tergiversa malgrado i roboanti proclami del tutto prosciugati di qualsiasi contenuto e le Autorità chiudono la stalla a buoi abbondantemente andati.
    Non rappresentiamo un Paradiso fiscale, nel senso positivo che l’Eden possa rappresentare e non siamo nemmeno sufficientemente organizzati e coesi da mettere sul tavolo condizioni economiche ed industriali allettanti.
    Non ci rimane che sperare nel sole e nel mare, perlomeno fino a quando non metteremo una tassa ed un codicillo che ne limitino il libero godimento.

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