Di motori elettrici, finora, ne abbiamo visti tantissimi. Dai piccoli di Torqeedo al potentissimo Evoy da 300 cavalli. Concentriamoci sui fuoribordo. In questo scenario entra “a gamba tesa” Yamaha (forte anche dell’acquisizione recente di Torqeedo) e sotto le luci dei riflettori del Miami Boat Show in Florida, se ne esce con un “fuoribordo a idrogeno“. Avete letto bene.
NB: non parliamo di un motore definitivo, ma di un prototipo, come vi avevamo annunciato qui.
Fuoribordo a idrogeno: Yamaha fa sul serio
Con tutti i motori che ci sono, ma perché proprio un fuoribordo a idrogeno? “L’idrogeno è una delle molteplici soluzioni tecnologiche per raggiungere emissioni zero di carbonio.”
Parola di Yamaha Marine. Nel mondo le strade che conducono verso le emissioni zero sono tante. Perché quindi escludere l’idrogeno? La struttura del motore, ad ora, sembra coniata dal V8 (450hp o 400hp) a suggerire come verosimilmente si partirà dai top di gamma nello sviluppo di questa soluzione.
Fino a questi momento i progetti legati all’idrogeno nel mondo marino sono sempre stati legati a doppio filo all’imbarcazione “su misura”. Chi si ricorda, per esempio, dell’Hynova 40?O di un altro progetto, in questo caso tutto italiano, cioè il Santelmo F50P. Una start-up di due giovani milanesi che come primo passo ha scelto di puntare su una navetta di 15 metri.
Se a svilupparlo è Yamaha, invece, l’obiettivo appare più verosimilmente quello di adattarsi alle imbarcazioni già sul mercato con l’obiettivo di industrializzare e rendere il prodotto più accessibile su larga scala. Potrebbe dunque non essere un caso che per questa anteprima ci fosse un prototipo di sistema di alimentazione integrato (creato con Roush) pensato un’imbarcazione del cantiere USA Regulator Marine, famoso anche qui per i suoi fisherman.
Il fatto che il primo esempio di applicazione sia un Regulator 26XO lo avvicina al mondo del diporto tradizionale. È una barca di serie, ovviamente adattata per i serbatoio, ma che ha dimensioni (26 piedi, circa 8 metri) da grandi numeri. Siamo ancora molto lontani, invece, dal sapere quanto potrebbe costare il “package” all’utente finale.
L’idrogeno per le barche? “Fondamentale”
Le prove in mare non sono ancora iniziate e le prime probabilmente inizieranno tra qualche mese. Però l’idrogeno per Yamaha sembra davvero molto importante.
“Nel mercato nautico la carbon neutrality dei nostri prodotti può essere raggiunta solo attraverso un approccio che sfrutti più soluzioni e crediamo che l’idrogeno sia fondamentale per raggiungere questo obiettivo”.
Lo ha detto niente meno che Ben Speciale, Presidente della Yamaha U.S. Marine Business Unit. A questo ha aggiunto che spera in un riscontro dagli altri operatori del settore nautico nella ricerca di soluzioni per costruire infrastrutture e nuove politiche intorno alle innovazioni.
Dietro c’è, poi, un’altra importante azienda americana: Roush. Il suo supporto si è visto in particolare in ciò che riguarda la progettazione del sistema di alimentazione, che si basa su oltre 20 anni di progetti e studi.
“Noi siamo costruttori di sistemi di alimentazione, responsabili della loro progettazione e dello sviluppo, della loro integrazione meccanica, della sicurezza e dell’analisi dei sistemi, nonché dei test e dello sviluppo”.
È quanto ha affermato da Roush, Matt Van Benschoten che ricopre il ruolo di Vice President, Advance Engineering. Insomma, visto l’annuncio in grande stile e l’aziende coinvolte sembra trapelare un certo ottimismo circa il futuro dell’idrogeno nella nautica da diporto.
La barca col fuoribordo a idrogeno è americana
Edenton, Carolina del Nord. Qui dal 1988 vengono costruite le imbarcazioni Regulator e testate nelle difficili condizioni delle Outer Banks. Per questo prototipo lo scafo è quello del modello 26XO, modificato per ospitare i serbatoi di idrogeno necessari per alimentare il nuovo fuoribordo.
Le criticità ad ora
L’idea di Yamaha è senza dubbio interessante, ma solo il tempo ci dirà se applicabile su larga scala oppure no. Non parliamo, infatti, soltanto di sicurezza e gestione di bordo, ma anche di luoghi per la ricarica diffusi. “L’appello” di Ben Speciale che avete letto nell’articolo in cui si chiedeva “ad altri operatori” di partecipare nasce proprio perché un sistema del genere sviluppato singolarmente da un’azienda senza un’infrastruttura adeguata può fare ben poco.