Secondo appuntamento del dossier di BAM, Barche a Motore, per provare a fare un po’ di chiarezza: cosa significa nautica sostenibile? Dopo un primo articolo introduttivo entriamo al centro della battaglia: come “stoccare” l’energia elettrica? Come ricaricarsi quando si è in banchina?
Le batterie, una prima distinzione
Da una parte ci sono le batterie “tradizionali”, al piombo o al gel. Dall’altra quelle al litio (a loro volta distinte in tra quelle al ferro-litio o ioni di litio). Le prime trovano un impiego decisamente ridotto su barche elettriche e ibride, e sono un po’ più diffuse per alimentare piccoli scafi a vela con potenze ridotte, fino a circa 1,5 kW. Vengono ancora utilizzate per i costi minori e soprattutto perché meno problematiche dal punto di vista dei sistemi digestione, hanno controller più semplici e non hanno bisogno di attenzioni esagerate per l’installazione. Oramai però si usano quasi esclusivamente quelle al litio. Nell’ottica di una nautica più sostenibile hanno forti vantaggi, ma anche con alcune problematiche.
Più che la capacità, può la velocità…
Il vantaggio nell’utilizzo delle batterie al litio non è solo nella loro caratteristica maggior densità di energia (in estrema sintesi il rapporto tra la quantità di energia accumulata e il volume della batteria) ma soprattutto nella loro velocità a caricarsi o scaricarsi, quindi nel recuperare e fornire energia al sistema. Le batterie tradizionali possono caricarsi ad “1C”o poco più, dove C indica il rapporto fra capacità della batteria e un’ora di utilizzo. Quindi se si ha una batteria da 1kWh per caricarla si può alimentarla con una potenza massima di 1kW.In scarica su può puoi arrivare anche a 2 o anche 3C, a seconda dei modelli.
Nautica sostenibile, come al solito “automotive docet”
Nel litio si sta arrivando, da questo punto di vista, a livelli altissimi: si arriva anche 10 C di ricarica. Il vantaggio è evidente: con una batteria tradizionale per ricaricare una batteria da 80 kWh (potenza di riferimento per molti modelli di barche a motore full electric che stanno vedendo la luce in questo momento) ci vorrebbero più di 80 ore. Facendo un paragone su quattro ruote, e tutta la tecnologia della nautica elettrica arriva da lì, per ricaricare una Polestar, appunto da 80 kWh, con un supercharger da 150kW la si porta dal 20 all’80% della carica in meno di 20 minuti. Si ratta di una carica a poco più di 3 C. Ma, come sappiamo, e ne riparliamo più avanti nel dettaglio, i supercharger nel mondo della nautica sono molto rari. Va sottolineato che poi per arrivare al 100% finale e alla stabilizzazione delle celle la parte finale del processo diventa decisamente più articolato. In tempi rapidissimi si ha comunque un batteria pronta all’uso.
Ad aria o ad acqua
A questo proposito va precisato che le batterie al litio possono essere raffreddate ad aria o ad a acqua. Nel primo caso hanno alette di raffreddamento e sono allocate in locali forzatamente ventilati in entrata e in uscita, nel secondo da caso, utilizzato quando a bordo hai bisogno di grandi velocità di carica e scarica (tipicamente motori molto potenti che lavorano con pacchi batteria dalla capacità ridotta), c’è un circuito di raffreddamento dedicato che spesso va anche a raffreddare i controller. In ogni caso il problema del surriscaldamento, soprattutto in ricarica, va tenuto decisamente sotto controllo. Le case realizzano oramai batterie che sono stagne, che nascono per scongiurare il rischio di involontari inneschi di autocombustione. Ma comunque esiste.
Il litio è pericoloso?
Premessa, come dicevamo prima, tutto il know-how arriva dal mondo delle auto, che ha a disposizione fondi sconfinati in confronto al mondo della nautica e i livelli di sicurezza e gli standard costruttivi sono diventati altissimi. Il rischio di incendio arriva quando in modo diretto (per esempio a causa di un impatto meccanico violento con una punta) o indiretto (a causa di un surriscaldamento dovuto ad una gestione errata da parte del controller in fase di carica o scarica) anodi e catodi entrano in contatto. Inoltre le case automobilistiche, e di conseguenza anche quelle nautiche, con i loro fornitori hanno poi percorso la strada della separazione delle celle, soluzione nata per evitare che eventuali danneggiamenti provochino danni più seri.
Incendi inarrestabili?
Si è diffusa l’idea che sia impossibile spegnere gli incendi delle batterie al litio… la realtà è che i metodi tradizionali per spegnere gli incendi non funzionano in quanto le batterie al litio contengono sia combustibile, sia comburente, pertanto togliere ossigeno come normalmente si fa per spegnere i tradizionali incendi non serve a nulla. Quando una batteria al litio si accende, o si riesce ad abbassarne la temperatura tanto da fermare la reazione chimica (ma è difficile) oppure si deve attendere che il materiale combustibile e comburente si consumi del tutto.
Divide et impera
Da qui l’idea di separarle in tante celle: una batteria da 80 kWh va avanti a bruciare per un giorno, ma se divisa in 100 celle opportunamente isolate termicamente ovviamente i tempi si riducono e l’incendio non si può diffondere. Come dicevamo ora sulle auto i livelli di sicurezza sono diventati altissimi, le case produttrici della nautica non a caso si alleano con quelle automobilistiche per adottare soluzioni simili: Candela-Polestar, oppure Torqeedo e Tyde con BMW, sono solo alcuni esempi.
Rapporto tra peso e capacità
A differenza dei normali motori a combustione interna, con i loro serbatoi di gasolio, la propulsione elettrica ha una quantità di energia da trasportare che è più “voluminosa”. Le batterie pesano e ingombrano molto. Questo è ovviamente un problema, in chiave nautica sostenibile, centrale per il mondo della vela. La strada che si sta percorrendo ora è quella della ricerca verso batterie di diverso tipo, alcune sviluppi interessanti sembrano avere le soluzioni che prevedono l’utilizzo di nanotecnologie, come quelle al grafene.
Nanotecnologie e sale
Sono ancora allo stato prototipale, ma promettono una densità di energia molto più alta, la possibilità di svincolarsi dalla dipendenza dalle terre rare e permettendo uno smaltimento a fine vita decisamente meno impattante a livello ambientale. Quindi pesi e ingombri molto più contenuti. Come è facile immaginare le batterie al grafene sono anche molto costose, ma anche qui si stanno facendo grandi passi in avanti con le prime applicazioni sulle auto, ad esempio nella gamma Aion per le auto elettriche cinesi GAC. Ma anche per gli smartphone ci sono le prime applicazioni in serie.
Molto interessanti sono anche le nuove batterie al sale. Queste, seppur non hanno una densità di energia molto inferiore rispetto a quelle al litio hanno la preziosa peculiarità di non dover utilizzare terre rare per la loro realizzazione. Quindi meno impatto ambientale sia alla fonte che a fine vita quando si tratta di riciclarle.
Verremo sommersi dalle batterie?
Visto che prima che le batterie al Grafene e al Sale prendano piede, e ci vorrà un bel po’, vale la pena sottolineare che per quanto riguarda quelle al litio il percorso verso uno smaltimento efficiente sta facendo passi sa gigante. Ora è ancora decisamente costoso ma alcune le stime dicono che entro circa tre/cinque anni sarà più conveniente produrre batterie nuove utilizzando materiale riciclato da quelle esauste piuttosto che andare a scavare per trovare materie prime rare. Passo fondamentale per diventare sostenibili anche economicamente.
Come le ricarico? Le colonnine
Certo, nei porti ci sono già la colonnine di ricarica. Lungo le autostrade no. Tutto facile? Non proprio. Gli standard di riferimento sono infatti sempre quelli delle auto. Tutte le auto elettriche si possono ricaricare anche con la spina di casa a tre poli, i sistemi di gestione della potenza sono in grado di capire che tipo di energia gli viene fornita. Ma in una notte ricarichi il 10% di una batteria da 80 kWh.
I supecharger riducono i tempi di ricarica, ma lungo la rete dei marina ce ne sono veramente pochi. Inoltre lavorano in corrente continua mentre nel mondo nautico si utilizza corrente alternata per motivi di certificazione e perché lungo le banchine non viene fornita se non in rarissimi casi.
Per la ricarica? Ci vuole pazienza
In corrente alternata, alle colonnine delle barche “normali” si può avere corrente alternata a 220 raramente a o 380 Volt, la possibilità di ricaricare più o meno rapidamente molto dipende dalle scelte, e dalle possibilità dei singoli porti e marina. In molti posti il limite massimo di ricarica è a 2 kW, anche se lo standard sta salendo decisamente verso i 3,5. Ma anche in questo caso i tempi di ricarica rimangono molto lunghi.
Mi dovrei “fingere” super yacht
La situazione è molto diversa negli ormeggi per super yacht, qui si hanno potenze più alte, si “lavora” a 380 Volt e potenze che arrivano a 50/60 kW. In questo caso se a bordo si ha una batteria da 80 kWh (sempre usando come riferimento le barche elettriche di ultima generazione) in meno di un’ora e mezza si passa dal 20 all’ 80% della carica. Ma ovviamente non è molto conveniente ormeggiare al posto di un 40 metri, né per i porti è semplice convertirsi verso sistemi più efficienti. Insomma con una barca full electric planante, o hai un supercharger vicino per i tuoi spostamenti, o devi mettere in conto tempi di ricarica molto, molto lunghi.
Nautica sostenibile: viva i “piccoli”
Per fortuna esistono, o stanno arrivando altre soluzioni per fare rifornimento di elettroni. Per i motori più piccoli, ad esempio per i tender o per i natanti a vela le batterie o sono smontabili (e quindi “rifillabili” a casa) o sono ricaricabili in corrente alternata, quindi anche sa bordo. Esempi virtuosi arrivano da Mercury e Torqeedo. Ma molto interessanti, per barche più grandi, sono anche gli sviluppi su pannelli solari sempre più efficienti, da range extender di ultima generazione (piccoli gruppi elettrogeni) o anche dall’idrogeno. Ma di questo parleremo in un’altra puntata.
di Luca Sordelli
Consulenza tecnica Paolo Portinari e Mario Bonelli