Alzi la mano chi conosce la parola “Kellek”. Probabilmente non molti lo possono fare. Eppure è un sostantivo che trova il suo posto nel dizionario italiano: “Sorta di zattera costituita da un’intelaiatura in legno, spesso sostenuta da otri gonfiati, impiegata lungo il basso Tigri per il trasporto di merci e persone”.
Il kellek può essere il punto di partenza per raccontare la storia dei “battelli gonfiabili”, poi gommoni e ancora dopo RIB (e declinabili in un’infinità di definizioni, ma questo sarà oggetto di un prossimo articolo) che ben prima di essere realizzati in gomma o materiali simili erano costruiti con pelli di animali.
Il Gommone? Arriva dalla Mesopotamia
In Mesopotamia queste zattere vennero utilizzate come mezzo di trasporto acquatico sul Tigri e sull’Eufrate dagli albori della civiltà fino alla Seconda Guerra Mondiale. Sono molti i rilievi (come quello in in apertura) con raffigurazioni di soldati o lavoratori impegnati in trasporti pesanti utilizzando proprio queste imbarcazioni. Venivano utilizzati kellek di ogni dimensione da una pelle fino a centinaia.
Li utilizzò anche Gengis Khan
In realtà quella tecnica ancora oggi trova le sue applicazioni e in passato è stata utilizzata in varie declinazioni e in molti altri luoghi, dalla vicina Anatolia, ma anche in Africa, Cina, India e anche Europa. Annibale traghettò i suoi elefanti attraverso i fiumi europei su zattere sostenute da pelli di animali gonfiate. Allo stesso modo le truppe mongole di Gengis Khan portavano con sé pelli di animali gonfiabili durante le loro conquiste verso ovest.
Anche le truppe di Alessandro Magno le usarono per trasportare uomini e rifornimenti attraverso i fiumi dell’Asia nella loro marcia verso est attraverso la Persia. Nel I secolo d.C. si parla di zattere sostenute da pelli di animali gonfiate per trasportare l’incenso lungo la costa del Golfo di Aden, nell’attuale Yemen.
Come venivano realizzati ?
Si utilizzavano le quattro pelli a forma di tubo delle zampe dell’animale, venivano legati con corde di cuoio inumidite che, asciugandosi, si restringevano creando delle giunture strttissime. La pelle veniva immersa in acqua e lasciata in ammollo per diversi giorni, poi stesa su una superficie piana ed esposta al sole per un altro giorno. Per creare l’impermeabilità si raschiavano tutti i peli e si spalmava sulla pelle una miscela di sale, acqua e olio vegetale. La pelle veniva quindi esposta al sole un’altra volta, per un tempo sufficiente a farle assumere un colore marrone scuro.
Il geografo ed esploratore Ellsworth Huntington in un articolo del 1902 per una rivista scientifica descrisse come si comportavano in acqua i kellek durante un esplorazione nell’alto Eufrate: “Appena abbiamo iniziato a galleggiare, abbiamo concluso che un kellek si muove nel modo più semplice e piacevole che si possa immaginare. Non c’è alcuno sbalzo o scuotimento. Le pelli galleggianti e i legni flessibili si adattano a ogni movimento delle onde. Mezz’ora dopo la partenza, ci siamo fermati per un po’ di tempo mentre i kellekji raccoglievano una grande quantità di canne, che hanno steso sulla zattera, in parte per proteggere le pelli dalle ferite dei nostri piedi, ma soprattutto per evitare che si seccassero sotto il sole cocente e si spezzassero. Ogni ora o due gettavano acqua su tutte le parti esposte delle pelli“.
Nel 1838 e nel 39, il futuro feldmaresciallo prussiano Helmuth Karl Bernhard Graf von Moltke, temporaneamente al servizio del sultano ottomano Mahmud II, guidò un paio di spedizioni lungo l’alto Eufrate nel tentativo di determinare l’idoneità del fiume come corridoio di trasporto per inviare grano, legno e minerali verso sud dall’Anatolia orientale.
Affermò che era impossibile percorrere l’Alto Eufrate con un’imbarcazione diversa dal kellek: “Nemmeno il più robusto e sottile piroscafo di ferro sarebbe in grado di risalire il fiume contro la corrente o attraverso le secche e gli zigzag del suo corso. Questo mezzo si piega come un pesce e assume la forma dell’onda su cui galleggia, curvando verso l’alto o verso il basso. Non subisce danni quando viene sommerso dall’acqua, affondando momentaneamente”.
La “la morbidezza” del gommone divenne poi proprio il suo punto di forza per quelle che diventeranno le prime vere applicazioni nell’età moderna: come mezzo di salvataggio e come strumento da sbarco militare. Si piegavano, ma non si spezzavano… Ma ne parleremo più a fondo in un prossimo articolo.
di Luca Sordelli