Siamo la seconda nazione al mondo per produzione di imbarcazioni da diporto (dietro ai soli Stati Uniti), abbiamo quasi ventimila centri di produzione che gravitano attorno al settore (tra cantieri, centri di assistenza, produttori di accessori ecc..) eppure alcune criticità potrebbero mettere in ginocchio il Made in Italy della nautica. Prima fra tutte la mancanza di manodopera specializzata, un problema comune a diversi settori dell’economia, che ha già iniziato da qualche tempo a farsi sentire anche nella nautica. Ma ci sono anche altri aspetti da tenere sotto controllo.
In una tavola rotonda dove hanno partecipato esponenti del comparto nautico pubblico e privato, tra gli altri Marina Stella, direttore generale di Confindustria Nautica, e Katia Balducci, amministratore delegato di Mangusta Overmarine, si è discusso degli ultimi dati economici relativi al settore, e alle strategie per mantenere la crescita costante nei prossimi anni.
L’export nella nautica italiana sfiora il 90%
Partiamo col dire che la nautica in Italia sta registrando numeri mai visti prima, con un fatturato complessivo record per il 2022 di 7,33 miliardi e un export che vale 3,7 miliardi nel 2023. La maggior parte dei cantieri ha il portafoglio ordini bloccato fino al 2027, le nostre sono le barche più apprezzate all’estero e la crescita a due cifra registrata anno su anno a partire dal 2018-19 sembra proseguire il suo trend. Tuttavia, e lo sanno bene sia le aziende private sia le istituzioni, si potrebbe fare ancora meglio e ancora di più per il settore, soprattutto grazie alla collaborazione tra pubblico e privato di cui alcuni esperimenti testimoniano la fattibilità. La gran parte della produzione nautica italiana va all’estero (circa l’88% di quello che esce dai cantieri) e siamo, con il 18,3% dell’export, in testa alla classifica relativa all’export delle imbarcazioni da diporto. I principali mercati restano quello degli Stati Uniti d’America e l’Europa, anche se si è affermata ormai da qualche tempo (situazione geopolitica permettendo) l’area del Medio Oriente e dell’Asia del Pacifico. Oltre alla situazione geopolitica bisogna sicuramente tenere d’occhio le catene di approvvigionamento, che con il Covid hanno sperimentato difficoltà non previste e mostrato tutte le debolezze di un sistema globalizzato in un momento di crisi. La tendenza dei grandi player della nautica Made in Italy è quella a rendere sempre più verticale il processo produttivo, accentrando il più possibile le catene di produzione e riducendo al minimo indispensabile la dipendenza dall’approvvigionamento esterno. Per fare questo però occorre che i fornitori italiani si adeguino ad una mole di produzione molto più grande del previsto, con importanti investimenti e allargamenti anche in termini di spazio fisico (capannoni industriali di dimensioni maggiori, ad esempio).
Made in Italy – La dimensione artigianale sta scomparendo
Perché le barche italiane piacciono così tanto all’estero? Perché coniugano design, eleganza e “saper fare”, tre elementi tradizionalmente associati al Made in Italy, tre fattori comuni di una formula vincente, nella nautica come in altri segmenti. Una barca italiana è apprezzata per la sua dimensione artigianale, che è proprio la dimensione maggiormente in pericolo in ottica futura. Il grosso problema del settore è infatti quello del ricambio generazionale relativo alla manodopera specializzata, che nonostante gli oltre 190mila lavoratori sta vedendo le maestranze scomparire senza essere sostituite dai nuovi lavoratori. Il problema è comune a tanti settori, e testimonia da un lato lo scollamento tra mondo dell’istruzione e mondo del lavoro, dall’altro una tendenza a preferire carriere universitarie ai lavori manuali-artigianali, spesso ritenuti (a torto) una professione di rango inferiore. Tra gli esperimenti di connessione pubblico-privato, in questo senso, c’è un certo fermento. Alcuni cantieri con sede in Toscana (tra i quali Mangusta Overmarine, Azimut-Benetti e Perini Navi) hanno istituito un pool dedicato alla formazione e, insieme alla Regione Toscana e agli Istituti di Istruzione Superiore, stanno cercando le strategie migliori per intervenire sui percorsi di formazione, incentivando e preparando figure professionali sempre più adeguate al mondo del lavoro di oggi. Questo è un ottimo esempio di quanto sia importante l’apertura delle istituzioni verso i privati (e viceversa) e l’apertura verso il “fare sistema” in un’industria dove la competizione è agguerritissima.
Sostenibilità per attirare gli armatori di domani
Secondo uno studio di McKinsey nel 2036 (tra poco più di un decennio) gli armatori saranno più giovani di oggi, e quelli della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) supereranno i Millennials (i nati tra 1981 e 1996). Come fare per rendere la nautica appetibile a questa fetta di pubblico? La parola d’ordine è sostenibilità. Lo sappiamo e lo vediamo ormai da diversi anni, i cantieri e le aziende della nautica Made in Italy sono state tra le prime ad impegnarsi per rendere il proprio ciclo produttivo il più sostenibile possibile. Da almeno un decennio inoltre si studiano carene più efficienti, in modo da risparmiare carburante, e sistemi isolanti per gli interni, per utilizzare meno energia nel processi di raffrescamento/riscaldamento. Per non parlare della vetroresina, un materiale il cui fine vita è molto problematico, e per il quale molti i cantieri si stanno sforzando di trovare una soluzione. Chi reimmettendolo in commercio una volta recuperato, per altri segmenti produttivi (economia circolare), chi studiando la maniera di donare una seconda vita alla vetroresina in zone diverse dallo scafo, come gli arredi. Ricordiamo che lo yachting (inteso come diporto) impatta per lo 0,06% sull’inquinamento mondiale, è quindi l’efficientamento energetico dei diversi cicli produttivi a dover essere tenuto sotto ai radar. Una nautica più sostenibile non attira solo gli armatori di domani (ormai di oggi) ma anche i nuovi investitori, sempre più attenti al rispetto dei rigidi paletti imposti dalle organizzazioni sovranazionali in vista dei prossimi anni.
Pochi porti turistici e troppa burocrazia
In chiusura possiamo citare un intervento di Nello Musumeci – Ministro per la protezione civile e per le politiche del mare – alla tavola rotonda, dove ha citato altre criticità del “sistema nautica” ben note anche alle istituzioni. Da un lato c’è l’esigenza di avere nuovi porti turistici in Italia, un volano indispensabile sia per far crescere la nautica locale sia per incentivare ed attirare gli arrivi dall’estero. Dall’altro ha evidenziato la necessità di uno snellimento della burocrazia in campo nautico, un problema per il quale è già stato fatto un passo in avanti con la creazione del CIPOM (Comitato interministeriale per le politiche del mare) nato alla fine del 2022 per coordinare e definire gli obiettivi strategici del settore. Insomma, sia le istituzioni sia le aziende del Made in Italy nautico hanno ben chiari quali sono gli aspetti da tenere in considerazione per mantenere in ottima salute il settore anche in futuro, consapevoli che mantenere i tassi di crescita registrati negli ultimi anni sarà una sfida molto difficile.
Le barche made in Italy valgono quasi 4 mld (e un superyacht su due è italiano)
1 commento su “La nautica italiana cresce a doppia cifra, ma il Made in Italy è in pericolo”
La realizzazione di nuove strutture per la Nautica da Doporto è fortemente penalizzata dalla mancanza di certezza dei percorsi e dai tempi burocratici.
Gli imprenditori hanno assunto bisogno di tempi certi di rientro degli investimenti effettuati .
A mio modesto avviso basterebbe determinare il Decreto Burlando come unica procedura amministrativa da seguire e non anche il Codice degli Appalti o la legge 241/1990, e per quanto attiene ai tempi delle Conferenze dei Servizi, stabilire tempi perentori e non ordinatore.